... continuamente si chiedeva, nella sua testa, Ma quand'è che si vive? lo, mi ricordo benissimo, quand'ero un ragazzo che mi chiedevo Ma quand'è che si vive? Ho passato degli anni a chiedermi Ma quand'è che si vive? E ancora adesso, ogni tanto, me lo chiedo, Ma quand'è che si vive? Che è proprio una bella domanda: Quand'è che si vive? Ecco.
Non è permesso chiudere gli occhi. Tanto, non serve a migliorare nulla. Non è che chiudendo gli occhi si spenga qualcosa. Anzi, se lo fai, quando li riaprirai nel frattempo le cose saranno decisamente peggiorate. Questo è il mondo in cui viviamo, Nakata. Devi tenere gli occhi bene aperti. Chiudere gli occhi è da rammolliti. Evitare di guardare in faccia la realtà è da codardi. Mentre tu tieni gli occhi chiusi e ti tappi le orecchie, il tempo avanza. Tic-toc-tic-toc.
La nostra vita non è altro che effimere formazioni di sabbie mobili, adunate da una raffica di vento, distrutte dalla successiva. Creazioni inconsistenti che si disperdono prima ancora di aver finito di formarsi.
Mi ricordo spesso una cosa che ha detto Viktor Sklovskij a Serena Vitale. Cosa facciamo nell'arte? ha chiesto Sklovskij. Resuscitiamo la vita. L'uomo è così occupato dalla vita, ha detto, che si dimentica di viverla. Dice sempre Domani, domani. E questa è la vera morte. Qual è, invece, il grande successo dell'arte? È la vita. Una vita che si può vedere, sentire, vivere in modo palpabile.
Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro. né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l'ampiezza del disastro. Con queste misure davanti agli occhi, la giornata sarebbe migliore, l'illusione bandita, il paesaggio chiaramente delineato. Ma se si pensa alla propria sventura tra due forchettate, con l'orizzonte ostruito dall'imminente ripresa del lavoro, si prendono delle cantonate, si valuta male, ci si immagina messi peggio di come si sta. Qualche volta, addirittura, ci si crede felici!
Quel che per lungo tempo una certa letteratura neghittosa ha chiamato silenzio eloquente non esiste, i silenzi eloquenti sono soltanto parole che son rimaste lì di traverso in gola, parole strozzate che non sono riuscite a sfuggire alla stretta della glottide.
…quando prendo in mano qualche libro e lo apro, dalle pagine emana odore di antico. È un odore particolare, sprigionato dalla conoscenza profonda e dalle intense emozioni che hanno dormito a lungo, tranquille, al riparo della copertina. Aspiro quell’odore, scorro con gli occhi alcune pagine, e ripongo il libro negli scaffali.…
La casa dove nasci segnerà per sempre la tua vita. Potrai abbandonarla, dimenticarla, dipingerla o trasformarla. Potrai riempirla di libri e svuotarla di ricordi, nasconderla dietro le persiane o lasciare che la luce la investa. Potrai aprirla agli altri o tenerla tutta per te...Ma le mura tra cui sei cresciuto condizioneranno chi sei e chi sarai.
Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi.
Non cercare qualcosa di intelligente da dire, lasciare che le parole affiorino spontanee: non è detto che saranno quelle giuste, ma solo così quelle giuste hanno una possibilità di affiorare.
Tengo, sotto quella luce, si rese conto con rinnovata intensità di come i movimenti del cuore potessero rendere relativo il tempo. Vent’anni erano lunghi, un periodo durante il quale molte cose erano iniziate, e molte erano finite. E quelle che restavano erano cambiate nella forma e nella sostanza. Un arco di tempo lunghissimo. Ma non troppo lungo per un cuore deciso. Se il loro incontro fosse avvenuto vent’anni dopo, stando davanti ad Aomame probabilmente avrebbe provato le stesse emozioni. Ne era certo. Se avessero avuto cinquant’anni, avrebbe sentito gli stessi sussulti violenti, la stessa confusione. La stessa gioia, la stessa certezza.
Una volta Didier, in una delle sue dissertazioni sconclusionate a notte fonda, mi aveva detto che il sogno è il luogo dove si incontrano paura e desiderio. “Quando in un sogno paura e desiderio sono in perfetto equilibrio”, disse, “lo chiamiamo incubo."
Abbia pazienza, con il tempo il suo dispiacere passerà, è vero, con il tempo tutto passa, ma ci sono casi in cui il tempo si attarda a dar tempo al dolore di stancarsi, e altri casi ci sono stati e ci saranno, fortunatamente più rari, in cui il dolore non si è stancato e il tempo non è passato.
«Amare è così, caro Tamura Kafka. Sei solo tu a provare quelle sensazioni così belle da togliere il fiato, e solo tu a vagare nelle tenebre più fitte. Tocca a te sostenere questo peso col tuo corpo e la tua anima».
“La battaglia contro la coglionaggine comincia da se stessi” scrive Raffaello Baldini. […] E a me viene in mente quel che dice Ricky Gervais, che quando sei morto tu non lo sai, è doloroso solo per gli altri. La stessa cosa, dice, succede quando sei stupido. Ecco.
A settembre, la conserva di pomodoro. Partecipano tutti: chi passa il pomodoro, chi sciacqua i vuoti e le foglie di basilico, chi
imbottiglia, chi tappa. È una cerimonia che riunisce più di una famiglia e io
sono con i ragazzi che chiamo cugini, ma è il rito che segna la fine dell'estate
e l'odore della salsa schizzata sulle coperte vecchie ha un sentore acido e
acuto, malinconico come il tanfo dei panni che coprono i grossi fusti pieni
d'acqua nei quali le bottiglie bollono, e già diffonde l'aroma affumicato dell'autunno.
Ogni tanto si sente lo scoppio di un vetro tappato male.
Alla fine, quando l'acqua si è raffreddata e le bottiglie vengono estratte una
per una e allineate nelle cassette, si fa la conta di quante sono esplose, e
meno sono migliori saranno gli auspici per l'inverno.
Da questo si capisce che tappare è un incarico delicato, e
quando zia Vittoria me lo affida è la prima volta che un adulto mi fa
responsabile di qualcosa.
Quando si comincia a dimenticare le cose - non mi riferisco all'Alzheimer, ma solo alle prevedibili conseguenze dell'età - si può reagire in vari modi. Ci si può mettere d'impegno e cercare di costringere la memoria a cacciare fuori il nome di quel conoscente, di quel fiore, quella stazione ferroviaria, quell'astronauta...Oppure si può ammettere la propria défaillance e prendere misure pratiche al riguardo, utilizzando testi di consultazione e internet. O più semplicemente, si può lasciar perdere - infischiarsene di ricordare - e scoprire, a volte, che l'elemento smarrito riaffiora magari a distanza di un'ora o di un giorno, spesso nel corso di quelle interminabili notti insonni che la vecchiaia infligge. È una cosa che impariamo tutti, tutti quelli di noi che dimenticano, intendo.
... se qualcuno ti tradisce non è un amico, o perlomeno non lo è più. Ma il tradimento è quasi un sentimento, non è un atto. Vive nel tempo, si nutre di rancore, di ricordo e di odio, e alle volte di perdono. Non si viene traditi, si rimane traditi, mutilati della fiducia, anche quando sono passati decenni. Puoi ricordare il traditore e dimenticare il tradimento.