Racconto vincitore del concorso "IV^ EDIZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE “Gocce d’inchiostro 2016”" e pubblicato in "Diciott'anni e dintorni" - Viola Editrice 2016
Finalista XV ed. Premio Letterario Nazionale Giovane Holden (2021) - Sezione Edito - Raccolta di racconti
Diciott’anni e dintorni
(di Francesca Cammisa)
A
diciott’anni è tutto facile. È tutto più semplice. Gli avvenimenti, le cose
della vita si prendono per quel che sono, non si pensa alle conseguenze. Ma non
è sempre così. Alcune volte si ha la consapevolezza che quel che si decide di
fare potrebbe influenzare il corso della propria esistenza, alcune volte invece
gli accadimenti la modificano senza rendersene conto.
E
così fu per lei. Gli avvenimenti di quell’anno, anche se apparentemente
potevano sembrare qualcosa che non avesse alcuna importanza o influenza sulla
sua vita, decisero, inconsapevolmente, quel che sarebbe stata da lì in poi.
Quello che accadde rimase attaccato alla sua anima per sempre. Ma lei se ne
accorse troppo tardi.
Treno
regionale Pescara - Roma delle 9.21. Si trovava per un caso fortuito su quel
treno, potrebbe sembrare strano, ma stare lì, proprio su quel treno, le metteva
un senso di agitazione causato da una sottile nostalgica malinconia.
Trent’anni
prima osservava gli stessi paesaggi da un finestrino di un treno che,
nonostante fossero passati tanti anni, non era così dissimile da questo.
Di
fronte a lei era seduto un ragazzo che più o meno poteva avere la sua stessa
età (ormai anche superati i quarant’anni si è sempre ragazzi!). Distinto, ma eccentrico
quanto basta per incuriosirla in modo particolare, naturalmente facendo bene
attenzione a non farsene accorgere. Già da un primo sguardo lei capì
perfettamente che era una di quelle persone predisposte all’ascolto, curiose di
sapere, senza giudicare, e di persone così, senza un cellulare in mano, alle
quali è un piacere raccontarsi ce ne sono davvero poche. Lui si accorse
immediatamente del leggero stato di agitazione che vibrava in lei, tanto che
con una scusa riuscì a intraprendere una conversazione, cominciata inizialmente
su una banale richiesta di informazioni.
-
Sa per caso qual è la stazione di arrivo
a Roma?
- Arriviamo alla Stazione Tiburtina.
- Mi scusi della domanda banale, ma è
la prima volta che prendo questo treno.
- Io no. L’ultima volta sono salita
su questo treno circa trent’anni fa. Avevo diciott’anni. Eravamo in tre,
partiti la sera prima dalla città dove ci incontrammo per andare ad un concerto
a Roma. Quei viaggi con tappe, mete cambiate all’improvviso. Proprio come a
diciott’anni è giusto fare.
Lei
stava tornando a Roma, era andata a Pescara per recuperare dei documenti di una
casa del padre venduta anni e anni prima. In questa casa, quando era piccola,
lei ci passava le vacanze estive con la nonna. Tornare in quella città, rivedere
quella casa e quella strada totalmente cambiate e modificate, le aprì un mondo
di ricordi, di sensazioni.
- Era da tempo che non venivo in
questa città. Lei ci viene spesso?
- Le dico la verità, è un caso che mi
porta a essere seduto su questo treno.
Proprio
pochi giorni prima la vita di lei era radicalmente cambiata.
Era
giunta ormai all’ennesimo trasloco, questa volta da sola però. Si era arrivati
ad un punto di non ritorno, i figli ormai erano grandi e autonomi non c’era più
necessità di proseguire quella convivenza pressoché sterile, sentivano entrambi
la necessità di confermare a loro stessi che la solitudine non era poi così male.
Quindi han dovuto riorganizzare ognuno i propri spazi in due case diverse.
Raccolse in giro scatole su scatole, le riempì di libri, dischi, cd, cassette,
oggetti, documenti.
Il
primo trasloco fu a causa del lavoro del marito. Aveva avuto una promozione,
che avrebbe portato un notevole salto per la scalata verso il successo e la
ascesa nel mondo sociale. Cambiarono città. Cecilia lo seguì con entusiasmo
anche se le dispiaceva enormemente lasciare la città di provincia, nonostante
fosse pettegola e claustrofobica, la considerava comunque protettiva, poi ci
aveva passato i migliori anni in quella città, ma in fondo è sempre giusto
migliorare e per migliorare dei cambiamenti radicali erano necessari. Si
ritrovarono in una città più grande e per il momento si adattarono ad una
piccola casa in affitto, abbastanza centrale.
Il
secondo trasloco fu necessario per la posizione sociale acquisita da Marco,
avevano bisogno di una casa più grande per poter organizzare cene e feste
destinate agli alti livelli della multinazionale. Era una vita che non le
assomigliava, ma ormai c’era dentro con tutte le scarpe, compresi i tre figli,
e per il momento non poteva più tornare indietro. Fino a che gli eventi non le
permisero la svolta.
Ogni
volta che si organizza un trasloco si pensa sempre che in casa ci sia poca roba
e invece alla fine ci si accorge che quei mobili e stipetti sputano fuori cose
su cose che si pensava non avere più, ma sai com’è, si pensa sempre “questo
teniamolo, potrebbe servire”, e poi si dimentica puntualmente nascosto in
qualche cassetto, per poi trovarselo tra le mani inaspettatamente.
Aprì
l’ultimo mobiletto. C’erano delle scatole. Le riconobbe immediatamente, infatti
quel mobiletto era destinato a custodire i suoi ricordi. Non resistette e aprì
ogni piccola scatola, piene di lettere, cartoline, foto, biglietti di auguri,
occhiali, pupazzetti, agende telefoniche piene zeppe di numeri.
Cecilia quando era giovane non buttava nulla.
Ogni piccola cosa era importante, anche un biglietto di autobus, di treno, o
anche un bigliettino con un semplice numero di telefono, anche se non sapeva a
chi appartenesse. E poi si ritrovò tra le mani delle agende, dei quaderni:
erano i suoi diari. Pagine e pagine, fitte di parole, di gioie e dolori, di
lacrime e risate. Insomma la sua vita.
Rilesse alcune righe, a stento riuscì a trattenere le lacrime.
Incollato
dietro l’ultima pagina si intravedeva un foglio di quaderno. Sai i quaderni che
si usavano prima, quelli più piccoli, quei quaderni con le copertine più
colorate di cartoncino? Lo tirò fuori lentamente e si accorse immediatamente
che le parole su quel foglio non erano scritte da lei. Una scrittura minuta.
Solo la prima parola le fece ricordare immediatamente chi avesse scritto quelle
pagine, il momento, il giorno e il luogo esatto. Ci voleva poco per far
riaffiorare alla sua memoria ogni singolo istante di quel giorno, anzi di quei
mesi. I suoi diciott’anni e dintorni…
- Ci trovavamo su questo stesso treno
diretti a Roma per andare ad un concerto. Eravamo partiti il giorno prima, nel
frattempo si decise di fermarsi a Pescara a trovare alcuni loro amici, suonammo
la chitarra fino a sera tardi e dormimmo là.
Era
solare quando era giovane, e per questo attirava su di sé le simpatie di tanti
ragazzi che le giravano intorno anche se un po’ intimoriti da quel suo modo di
essere. Ma era solare solo apparentemente. In realtà aveva un groviglio di cose
nella testa che non le permettevano di vivere con la necessaria serenità i suoi
anni. E per questo suo carattere era attirata sempre da menti altrettanto
contorte e problematiche.
Nonostante
tutto aveva tanti amici e non aveva difficoltà a conoscerne altri. Era sempre
in mezzo a ogni nuova esperienza. E in una di queste mille avventure conobbe un
gruppo di ragazzi, un gruppo di musicisti che proprio allora cominciava a
mettere la propria impronta nella new wave di quegli anni.
Come
tutti i gruppi musicali emergenti, avevano quell’aria, come dire, un po’
scostante inizialmente. Dovevano mostrare la loro superiorità.
Tra
i componenti del gruppo c’era lui. Non “canonicamente” bello, ma era tutto
quello che lei cercava in un ragazzo, una mente poco banale ma anche problematica,
come lei d’altronde. Due calamite che si attirarono a vicenda.
In
quel periodo lei aveva perso la testa per un ragazzo che la usava a suo
piacimento, anche se in realtà non era assolutamente colui che avrebbe voluto.
E soffriva. Ma nonostante questa situazione la prima cosa che fece fu quella di
girare lo sguardo verso colui che avrebbe cambiato il corso del suo mondo
interiore per sempre.
A
diciott’anni piace giocare, piace agire d’impulso, senza pensare, e
sperimentare ogni novità.
“Ho un biglietto in più per il concerto, si
tiene proprio nella città dove frequenti l’Università, vuoi venire con noi?” mi
disse così all’improvviso e senza preavviso.
“Il
concerto è il 4, vieni con noi!”
“Va
bene! Vengo con voi! Poi organizziamo il viaggio”.
- Nonostante sapessi che lui non era
solo nella vita dissi di sì ugualmente. Due giorni di preparazione. Pensavo e
ripensavo a cosa portare, come partire. Eravamo d’accordo di prendere il treno
della mattina per poi andare al Palazzetto dello sport e poi i ragazzi
sarebbero tornati con il treno della notte e io sarei tornata a casa.
Naturalmente le cose poi non vanno
mai come si prevede che vadano. Ci incontrammo alla stazione, non più la
mattina ma il pomeriggio prima, pronti per comprare il biglietto. Cambio di
programma all’improvviso, si decise di non andare direttamente a Roma, ma di
andare a Pescara per passare una serata lì da alcuni amici per poi continuare
il viaggio. Partimmo in tre.
E lei? Qual è il “caso fortuito” che
la porta su questo treno?
- Sono semplicemente vittima di una
figlia particolarmente irruente e scavezzacollo. Ha deciso di partecipare ad
una selezione per un programma televisivo, spacciandosi per maggiorenne, ma
mancano pochi mesi, la produzione se ne è accorta e per continuare le selezioni
le hanno chiesto la firma di un genitore. Insomma, mia figlia è una goccia
cinese, son dovuto partire ieri d’urgenza per firmare la liberatoria.
- Una scavezzacollo viziata insomma
….
- No, non è viziata e io generalmente
non sono così, ma non avevo nulla da fare, e poi non so perché ma qualcosa mi
diceva che avrei dovuto fare questo viaggio. Come un presentimento che mi
diceva: devi andare!
- E la madre?
- … sono solamente un ragazzo padre.
Era
di un’intelligenza superiore alla media, culturalmente preparato, musicista,
scrittore, artista, gli piaceva fare bene ogni cosa gli piacesse, e se lo
poteva sicuramente permettere. Apparteneva ad una famiglia medio borghese. Un
padre medico ed una madre dedicata in tutto e per tutto ad un uomo consacrato
esclusivamente alla medicina. Tutto sommato la sua vita era trascorsa
tranquilla, anche se piena di attività da fare. Si iscrisse alla facoltà di
Economia per accontentare la famiglia, ma riuscì nella vita a metter d’accordo
le sue aspirazioni e le imposizioni familiari. Infatti subito dopo la laurea
entrò a lavorare in una Casa di produzione cinematografica, televisiva e
discografica che si occupava anche di editoria, insomma il posto ideale per
lui. Era talmente coinvolto in questo lavoro che divenne ben presto un alto
dirigente. Una vita apparentemente invidiabile la sua, ma lo contraddistingueva
una certa inquietudine, propria di chi non si ferma mai con i pensieri, con la
testa, tipica di chi è particolarmente sensibile.
- Sì, in effetti sono un ragazzo
padre. Il primo anno di università, a diciott’anni, ho conosciuto una ragazza,
frequentavamo insieme un corso di scrittura narrativa. Eravamo dal punto di
vista intellettuale molto simili. Senza premeditazione, senza calcoli, ma solo
in modo naturale ci ritrovammo insieme. Camminavamo uno accanto all’altra in
modo naturale, andavamo dritti per le nostre strade, senza interferire l’uno con
l’altra. Nel cammino ci voltavamo, ci guardavamo, sorridevamo e continuavamo ad
andare avanti senza paura, sicuri che la persona che avevamo accanto sarebbe
stata sempre lì, senza giudicare, senza indicare la strada. Qualche mese prima della laurea lei si
accorse di aspettare un bambino. Accettammo, senza se e senza ma, di proseguire
il nostro cammino in tre. Era accaduto qualcosa di bello, che ci completava,
non ci chiedevamo se avesse interferito con il futuro lavorativo che ci stavamo
costruendo.
Nacque la bambina, eravamo stanchi ma
felici, ci completavamo, ci davamo una mano con la bambina. Io ero padre e
madre, quando lei mancava per lavoro o per i viaggi per raggiungere i genitori,
e lei era madre e padre quando io ero costretto a lavorar fino a tardi per
portare avanti progetti importanti. E ogni tanto anche i nonni facevano la loro
parte. In questo modo, creando questo perfetto equilibrio, né la famiglia, né
il lavoro ebbero ripercussioni. Insomma non ci mancava nulla.
I
genitori inizialmente non presero bene la loro decisione di creare una famiglia
proprio in quel momento, ma dopo aver visto la loro determinazione decisero di
dare loro una mano. I genitori di lei erano lontani, abitavano a Milano, si
interessarono poco alla situazione, in fondo loro erano lontani, mantenevano la
figlia a Roma e questo bastava per il loro ruolo. Ma purtroppo, l’egoismo umano
alcune volte è più forte di ogni sentimento, finché andava tutto bene la figlia
per loro non esisteva, poi nel momento del bisogno la figlia diventava
indispensabile. La madre si ammalò e il padre costrinse la figlia a viaggi
frequenti da loro perché, colto da una forte depressione a causa della malattia
della moglie, diceva di non riuscire a gestire la situazione in casa.
Nonostante il forte disinteresse nei suoi confronti da parte loro, la figlia
non riuscì ed esimersi da questo dovere, perché in fondo voleva loro bene.
- Passammo la notte insieme. In un
letto sconosciuto. Con l’ansia alle stelle. Facemmo l’amore, con la paura che
non ci permetteva di essere liberi di lasciarci andare. Ero giovane, poco
esperta, ma lo stare semplicemente vicino a lui mi rendeva felice. Non mi
interessava altro. Anche se pensavo in continuazione di non essere in grado di
poterlo soddisfare come lui avrebbe voluto. Nessuno di noi due riuscì a
dormire, io lo spiai di nascosto tutto il tempo mentre stava fermo seduto
davanti alla finestra a guardare la notte. Chissà cosa pensava. Il giorno dopo
ci ritrovammo proprio su questo treno diretti a Roma. Lui passò il tempo a
scrivere su alcuni fogli di un quaderno che avevo con me. Proprio l’altro
giorno, alle prese con il mio trasloco, me li sono ritrovati tra le mani.
Si
bloccò nel suo racconto, il suo sguardo si perse nei paesaggi oltre il
finestrino, fu costretta a indossare gli occhiali da sole. Preferiva non farsi
cogliere in quel momento di debolezza dal suo interlocutore. Lui capì
immediatamente, le sorrise dolcemente, e pose il suo sguardo verso lo stesso
paesaggio, come voler percepire le stesse sensazioni che lei provava in quel
momento.
Fino
a quel momento si erano raccontati alternatamente parte delle loro vite,
ascoltandosi a vicenda, senza falsi e inutili commenti di cui riuscivano a
farne a meno. Ma senza dire nulla percepivano perfettamente cosa provassero,
riportavano alla luce memorie ormai sepolte, ma che erano sempre come tizzoni
accesi sotto la cenere di un fuoco apparentemente spento da tempo.
Dopo
il concerto si salutarono in modo frettoloso e ognuno prese la propria strada. Capì
che nella sua vita non avrebbe cercato altri che lui. Era colui che avrebbe
voluto accanto e non avrebbe permesso a nessun’altro di prenderne il posto. Si
scrivevano, si sentivano al telefono. Lei nel tempo percepiva un atteggiamento
a tratti “schizofrenico”, momenti di assoluta dolcezza, momenti in cui cercava
in tutti i modi di allontanarla. A causa di un ciclo irregolare, si accorse solo
dopo tre mesi di quel che le stava accadendo. Non sapeva se dirglielo, ma
percepiva che in quel periodo era diventato poco accogliente, stava costruendo
un muro e si sentiva esclusa dalla sua vita. Diciott’anni e aspettare un
bambino. Doveva prendere una decisione al più presto. Dopo un freddo colloquio con
un medico distratto in un consultorio si ritrovò da sola in una clinica
convenzionata, insieme ad altre donne soprattutto straniere, giovani e meno
giovani, aspettando di entrare in sala per metter fine definitivamente a quel
tormento che le ronzava nella testa. Era ferma, lì, in silenzio, chiedendosi
perché nessuno, un medico, una infermiera le avesse chiesto: sei pronta a farlo? Te la senti veramente?
non ti devi sentire in colpa. Non ti preoccupare, non sei sola ci sono io accanto
a te. Invece era sola, completamente sola!
I suoi pensieri furono interrotti da una voce gracchiante e antipatica
che urlava il suo nome. L’infermiera davanti, e lei dietro passarono attraverso
corridoi asettici, scuri. Entrò nella sala operatoria. La fecero sedere sulla
sedia operatoria. Chiuse gli occhi.
I
giorni dopo provò dei dolori lancinanti, che si protrassero per molto tempo.
Sola era e sola sarebbe rimasta a provare quel dolore che le modificò l’anima.
Quel
silenzio denso di parole venne interrotto dal racconto di lui.
- Lei era riuscita ad entrare a lavorare nella
redazione di un giornale. Era brava ….
La
madre giorno dopo giorno peggiorava, i suoi spostamenti divennero sempre più
frequenti, quasi ogni fine settimana era costretta a partire. Quel fine
settimana lei non sarebbe dovuta partire, era previsto uno sciopero e quindi
aveva deciso di rimanere a Roma. Finalmente, così si sarebbe riposata un po’.
Ma nel mezzo della notte arrivò una telefonata da parte del padre: devi venire subito, sto male! Tua madre sta
morendo. Non era vero, ma lui non poteva sopportare che lei rimanesse a
casa. Decise quindi di partire la mattina presto in macchina, nonostante le
previsioni atmosferiche non fossero le migliori, in 6 -7 ore sarebbe arrivata a
Milano e sarebbe ritornata il giorno dopo. Lui avrebbe voluto accompagnarla, ma
la bambina aveva la febbre alta e lei preferì che lui rimanesse a Roma a
pensare a lei.
- Mi ritrovai da solo a crescere la
bambina. Non volli mai più sentire, né vedere i suoi genitori. La bambina è
cresciuta, nonostante il dolore che portava dentro, abbastanza serena, anche
grazie ai miei genitori. È irrequieta, ma a me va bene così! Un’irrequietezza
intellettuale intendo. È segno di grande intelligenza.
- Continuammo a scriverci per qualche
anno. Mi diceva che non era solo, ma che rimanevo sempre nella sua anima e non
avrebbe permesso che io ne uscissi. Ma spesso non si sa a cosa credere, se ai
silenzi o alle parole dette in alcuni momenti di debolezza. Infatti nel tempo
venni a sapere che le stesse identiche parole erano state condivise con altre,
alla stessa maniera. Non si chiede di essere l’unica donna nella vita di un
uomo, ma almeno che i lessici costruiti tra due persone siano esclusivi e non
comuni ad altre situazioni.
Era tutto molto altalenante, lui
compariva, scompariva, ricompariva, diceva di volermi bene, poi spariva di
nuovo. Per me era estenuante, era una fatica costruire e “decostruire” in
continuazione un sentimento e un rapporto, se rapporto si poteva definire. Ma
nonostante tutto, anche nei momenti in cui sentivo che il muro che aveva
costruito tra di noi era solido, io non riuscivo a staccarmi, sentivo ancora
dall’altra parte il suo cuore battere.
Io pian piano mi allontanai, ma
rimase per sempre nella mia anima e ciò non permise che io vivessi la mia vita
in modo naturale, felice e spensierato.
Ero sempre in attesa che accadesse
qualcosa che stravolgesse la mia vita, aspettavo che prima o poi sarebbe
accaduto qualcosa che ne avrebbe per sempre modificato il corso.
Infatti
lei non buttò via nessun ricordo che la legasse a lui, tutte le lettere, i
biglietti, i ricordi che si ritrovò fra le mani il giorno del suo ultimo
trasloco.
Il
tempo passò velocemente riempito dai loro racconti. Arrivarono a destinazione,
in silenzio si prepararono e scesero dal treno.
Si
fermarono sulla pensilina una di fronte all’altra. Lui la guardò negli occhi e
le disse:
-
Vi siete più risentiti?
- Alcune volte sarebbe meglio
mantenere il ricordo che ci si è creati nel tempo di qualcuno piuttosto che
scoprire ciò che in realtà sono o, meglio, mostrano di essere.
- E ti manca?
- Nonostante tutto … dal profondo. E
a te manca?
- …. Dal profondo
- Non ti aspettare richieste di
amicizia su FB da parte mia, quello che c’è lì dentro è solo apparenza, non mi
appartiene, ma ti chiedo solo il tuo indirizzo di casa, ti scriverò, ci
scriveremo, se vorremmo ci scambieremo il numero di telefono ….
Lei
lo fissò negli occhi, con occhi appesantiti da tutti i ricordi affiorati quel
giorno, gli sorrise.
- Prestami la tua penna ….
These writings are excerpts, part of the plot of the story is well fixed; a well-imaged synopsis.
RispondiEliminaThank you Georges ...
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