Avevi detto basta (la mia penna) ..


Racconto selezionato tra i finalisti 
Concorso letterario Cultora 2019
pubblicato nella raccolta



inoltre 
Va in scena lo scrittore - concorso di scrittura 2017
Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS)




Avevi detto basta
di Francesca Cammisa

  
La sua era un’andatura particolare. Camminava con le punte dei piedi rivolte verso l’interno, questo lo obbligava  a portare in avanti una spalla rispetto all’altra. Spalle grandi, non muscolose, ma larghe. Tutto ciò rivelava una timidezza nascosta dietro ad un portamento apparentemente sicuro e il non saper dove mettere le mani svelava questa sua natura. Una era aggrappata alla tasca posteriore dei jeans sul cui braccio era appeso uno zainetto e l’altra si muoveva quasi in modo inconsulto. Da giovane doveva avere molto seguito tra le ragazze grazie a quel suo modo di porsi. Lo immagino indossare  le clarks (chissà perché la maggior parte di coloro che indossano le clarks cammina in quel modo?), i jeans, la “fruit” e la testa leggermente abbassata e piegata a destra  obbligando i suoi occhi a guardarti dal basso verso l’altro, sguardo timido ma molto affascinante. Quanti cuori avrà infranto uno sguardo così, da uomo solitario.  Quel portamento ricordava molto quello di James Dean, nonostante non gli assomigliasse affatto.
In quegli anni difficili, il mito di James Dean non aveva difficoltà a fare presa. Anni violenti, in cui o eri davanti alla barricata a menare con i bastoni, in mezzo alle molotov o ti nascondevi dietro la timidezza e la riservatezza di un intellettuale. Lui faceva parte di questi ultimi. Leggeva moltissimo, si rifugiava in Kerouac, Allen Ginsberg, e naturalmente ascoltava la musica dei cantautori e il Progressive Rock. Nonostante tutto uscì indenne da quegli anni bui, con quel suo modo di fare aveva delegato i “combattenti” a cambiare il mondo, ma in fondo neanche loro ci riuscirono, anzi, si passò quasi immediatamente da anni pieni di “apparenti” ideali ad anni fondati sull’esteriorità. Lui diceva che molti dei  suoi amici andavano a “menare le mani” non per sostenere un ideale ma solo per il gusto di prevalere sugli altri, di mostrare la loro superiorità, di avere potere sulle donne. E in fondo gli anni successivi in parte lo hanno dimostrato.  Diceva: “Ha ragione Venditti quando canta: Compagno di scuola, compagno di niente/ti sei salvato dal fumo delle barricate?/Compagno di scuola, compagno per niente/ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu? A cosa sono serviti quei nostri compagni morti così giovani?” Il suo amico di sempre, ogni volta che ripeteva questo concetto gli rispondeva: “E tu dove eri? Eri nascosto dove nessuno ti potesse vedere, non hai fatto nulla. Non ti sei sporcato le mani. Però, a onor del vero, tu il lavoro in banca l’hai rifiutato e noi, dopo aver lottato nelle barricate, ci ritroviamo a lavorare per le potenti multinazionali ….”
Aveva conosciuto Anna all’Università. Dopo il liceo aveva deciso di iscriversi alla facoltà di Lettere, voleva insegnare, voleva scrivere, ma soprattutto voleva studiare la storia per capire la verità dei fatti. Si rese conto che non ci sarebbe mai riuscito. La storia che viene tramandata è sempre piena di fatti veri e modificati, ogni storico presenta la propria versione e spesso non si riesce a capire quale sia la verità. Raccontava ad Anna: “Non esiste il bianco o il nero, la storia è piena di sfumature grigie che ti portano a destra, poi a sinistra. Forse è questa la mia colpa. Ha ragione il mio amico, io non mi sono sporcato le mani, ma non riesco a trovare la verità né in una, né nell’altra parte, non avrò carattere? Non avrò ideali? O forse perché possiedo ideali così forti che non riesco a seguire e credere in nessuno? Adorno diceva: ‘La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta’, evidentemente io voglio rimanere libero”.

Anna era sostanzialmente diversa da lui, era protesa verso il futuro, non si lasciava condizionare dagli avvenimenti del passato, era una di quelle persone che si adeguava in modo automatico al mutare dei tempi. Ogni nuova moda era la sua, sembrava non avesse nessun principio fondamentale che regolasse la sua persona. Si lasciava trascinare dal mondo e da quel che succedeva intorno. Non per questo poteva essere definita una persona stupida, piuttosto era, come dire, leggera, prendeva la vita per come veniva. In fondo erano due persone opposte che si assomigliavano moltissimo, a loro modo volevano rimanere liberi.
Anna lo incuriosiva per la sua bellezza, ma il suo modo di essere lo infastidiva, oltretutto  ogni esame per lei era un trenta e lode e di questo era terribilmente invidioso. Lui ogni volta in sede di esame si ritrovava a discutere con i professori perché aveva la necessità di esprimere la sua visione dei fatti, che non sempre corrispondeva con quella dell’interlocutore, e quindi i trenta e lode erano sicuramente meno di quelli di Anna.
Apparentemente erano inconciliabili, lui rigido nei modi e lei leggera, lui ascoltava Claudio Lolli e lei Claudio Baglioni, insomma sembravano due mondi all’opposto, ma nonostante questo ogni mattina facevano in modo di incontrarsi sempre e di passare la giornata insieme, seguire gli stessi corsi e preparare gli stessi esami. Si laurearono quasi contemporaneamente e decisero di partecipare insieme al concorso per l’insegnamento che era stato bandito da poco. Lo vinsero tutti e due e le loro strade da quel momento si divisero.
 “Eccola di nuovo” pensò Filippo, “mi sembra proprio lei. È già la terza volta che la vedo passare per questa strada”.
Dopo tanti anni di insegnamento in scuole situate in altre città o di periferia, finalmente era riuscito ad ottenere il trasferimento in una zona più centrale, oltretutto vicina alla piccola casa editrice di cui era collaboratore.
Non era stato facile lavorare in quella scuola di periferia. Inizialmente ebbe molte difficoltà a fare in modo che i ragazzi e le loro famiglie avessero fiducia in lui. Fu costretto a decidere di recarsi a scuola con i mezzi pubblici, raddoppiando il tempo necessario per arrivarci, a causa dei continui danni alla sua auto che ritrovava ogni giorno all’uscita di scuola. Ci volle tempo, fatica, tenacia, perché diventasse un punto di riferimento per tutti gli alunni della scuola, ma anche per tutto quel difficile quartiere.
Proprio lui che si era sottratto alle barricate quando era ragazzo  si era ritrovato a combattere in un quartiere violento, pieno di droga, di malaffare e di violenza. I ragazzi avevano bisogno di una guida, anche se inizialmente lo rifiutavano, lo allontanavano, lo maltrattavano, lo deridevano. Veniva spesso assalito, ma dopo essere riuscito a penetrare in quel miasma complicato e a capirne il “punto debole” divenne il fulcro  di riferimento per  tutti. Era rispettato e nessuno poteva permettersi di fargli del male in nessuna maniera. Era riuscito a far studiare i ragazzi, sempre nel limite della situazione in cui si trovavano, ma soprattutto ad interessarli ad altro che non fosse solo la delinquenza spicciola (e non solo) di quel quartiere che influenzava in modo determinante  le loro vite. Quando si rese conto che in qualche modo aveva acquisito “un potere” lì, in quella scuola, in quella situazione sociale, ebbe paura. Anche se il suo era un “potere” buono, positivo, ciò significava pur sempre avere predominanza sugli altri, così aveva paura che se questo avesse prevaricato su di lui, avrebbe potuto abusarne. Non lo aveva fatto da ragazzo e non voleva farlo proprio ora, oltre i cinquant’anni. Era arrivato il momento di andare via da lì, ora che aveva ancora la possibilità di farlo, dopo sarebbe stato troppo tardi, quando si arriva ad una certa età, si è più deboli,  si rischia di farsi prendere dai sentimentalismi.

“Ragazzi” disse all’improvviso, “potrei non dirvi nulla ma l’anno prossimo non tornerò in questa scuola, ho ottenuto il trasferimento”. Cadde un gelo improvviso in quella classe, i visi felici dei ragazzi in quell’ultimo giorno di scuola mutarono in un’espressione triste per poi trasformarsi in durezza e poi in rabbia.
“Professo’ c’hai tradito!!!! C’hai abbandonato. Mo’ te ne vai e ce lasci qui in ‘sto quartiere de merda da soli. Vattene va’ e nun te fa’ più vede’ che nun te ce volemo, nun vulemo un traditore in questo quartiere.”  Urlò tra le lacrime il ragazzo più difficile della classe.
Il giorno dei quadri arrivò a scuola più tardi del suo abituale orario per colpa di uno sciopero improvviso della metro. Lungo la strada che divideva la metro dalla scuola non incontrò nessuno, le vie erano stranamente deserte. Contrariamente, il piazzale della scuola era pieno di gente. Si chiese cosa potesse essere accaduto. All’improvviso una sua alunna urlò: “Professo’, finalmente sei arrivato!!” Si aprì un varco in mezzo a tutta quella gente e man mano che andava avanti si ritrovò davanti ad uno striscione: “Professo’ sei ’no stronzo xkè te ne vai ma ci mancherai! Unico e solo nei nostri kuori.”
Un forte senso di colpa si impadronì di lui, si era affezionato talmente tanto a quei ragazzi che a stento riuscì a trattenere le lacrime, “Ecco” pensò “sto diventando vecchio”.  
“Questo tipo di fronte a me ha lo stesso modo di camminare di Filippo. Con quel modo di mettere i piedi con le punte rivolte verso l’interno, e le spalle mi sembrano proprio le sue. Ma non può essere lui, chissà in quale posto del mondo sarà andato a finire”.  Anna cominciò ad agitarsi: “Se fosse proprio lui?”
Subito dopo il concorso, anche Anna cominciò a lavorare quasi immediatamente, pochi anni in scuole di periferia per poi rimanere, ormai da circa vent’anni, nella stessa scuola. Una brava professoressa, amata e odiata allo stesso tempo dai suoi alunni. Ragazzi di media borghesia, annoiati, senza stimoli, il cui ruolo è solo quello di finire al più presto il liceo, senza eccellere. Passano il tempo libero nelle strade a bere birra e a ciondolarsi controllando continuamente lo smartphone. A lei non interessa cambiarli, vuole solo fare bene il suo mestiere di insegnante, non diventare “maestra di vita”.
Due vite vissute fondamentalmente in solitudine. Due solitudini diverse. Filippo aveva avuto un paio di relazioni, tutte e due importanti ma ormai concluse. Non ne aveva sofferto molto, le viveva in modo passivo lasciandosi trascinare dall’entusiasmo di ognuna di loro, ma non fece mai nulla perché qualcosa cambiasse o diventasse “per tutta la vita”. Fu sempre abbandonato. Una volta silenziosamente, lei se ne andò senza dire una parola portando via tutto da casa. Non gli disse mai il perché, e lui accettò passivamente. La seconda invece se ne andò con un gran baccano, urla, pianti, disperazione, cercando appoggio dai loro pochi amici, che non fecero nulla per aiutarla. Conoscevano bene Filippo e sapevano che ogni loro piccola intrusione avrebbe significato la rottura anche da parte loro, e non ne avevano nessuna intenzione. Lei se ne andò sbattendo fragorosamente la porta. Anche questa volta lui non fece nulla per trattenerla.
Apparentemente sembrava non essere scalfito da questi due abbandoni, ma interiormente si chiedeva continuamente perché non riuscisse a tenere ferma e stabile una relazione. Si domandava per quale motivo fosse incapace di trasmettere emozioni, o forse addirittura di provarle le emozioni, di lasciarsi andare alla passione. Non riusciva neanche a provare gioia nel sesso, era diventato per lui un rituale, ma il trasporto o il desiderio che lui avrebbe voluto provare non sapeva cosa fosse. Era questo che lo faceva star male, il non essere capace di sentire il fremito, la curiosità, il non riuscire ad amare incondizionatamente, senza freni, senza inibizioni.

Anna si sposò subito dopo aver ottenuto la cattedra. Un grande amore, una bella festa di matrimonio, due figli, una famiglia simbolo, perfetta. Lei, una mamma amorevole, una moglie impeccabile, ma dopo tanti anni si sentiva terribilmente sola. I figli ormai grandi, un marito da sempre impegnato nel suo lavoro e nella sua carriera, e forse con la sua segretaria, anche se a lei poco importava, si rendeva conto che lui aveva trovato la sua realizzazione e a lei interessava solo che fosse sereno a casa, poi altro non voleva.

“Allora sei proprio tu!” disse lei quando un giorno all’improvviso  si ritrovarono uno di fronte all’altra all’uscita della metro. Si scoprirono tutti e due impreparati a quell’incontro, era come se improvvisamente si materializzassero tutte le fantasie che passarono, in quei giorni di furtive occhiate, nella loro mente, ma come sempre alla fine è sempre diverso ciò che si immagina che accada da ciò che succede nella realtà. Furono assaliti ambedue da un calore ed un’eccitazione improvvisa. Era da tempo che non provavano queste sensazioni sulla loro pelle. Filippo si meravigliò molto di questa sua reazione, stava provando un’eccitazione “adolescenziale” ormai quasi dimenticata che non pensava potesse ancora avvertire. Lei ritrovò invece quelle sensazioni immaginate e sognate in tutti quegli anni di solitudine, soprattutto nel momento in cui lui la guardò obliquamente con quello stesso sguardo di quando era ragazzo che la fece innamorare. Non si dissero nulla, ma capirono che da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato.
Nonostante provassero una felicità improvvisa nell’incontrarsi, nessuno dei due si espose, dopo i saluti frettolosi di circostanza si dissero un semplice “Faccio tardi a scuola. Ci si vede in giro da queste parti”. Avrebbero voluto abbracciarsi, toccarsi, rimanere a parlare per ore per raccontarsi quegli anni passati lontani l’uno dall’altra, ma in quel momento tutto ciò non accadde.
I giorni seguenti furono tumultuosi per entrambi, notti insonni a pensare: se avessi detto … se avessi fatto, forse non dovevo lasciare che andasse via. Cominciarono ad avere più cura di loro stessi, a modificare la loro persona, avrebbero voluto mostrare il meglio, riacquistare una verve che li avrebbe portati indietro nel tempo,  nella speranza di un nuovo incontro. Il caso volle che si incontrassero molto tempo dopo, all’uscita da scuola, questo avrebbe permesso loro di potersi salutare con più calma, senza la fretta dell’impegno imminente.
Decisero di pranzare insieme, per poi andare in un parco lì vicino, rimasero a parlare per ore senza essersi accorti che erano arrivati a sera. Avevano immaginato per una vita intera quell’incontro. In realtà si ritrovarono cambiati. Il tempo modifica le persone ma l’anima era rimasta sempre la stessa. Rinnovarono i loro incontri. Quasi ogni giorno dopo la scuola si vedevano, passeggiate, cinema, mostre. In quegli incontri si sfioravano ma non si toccavano mai veramente, anche se ne provavano un grande desiderio.

In quel periodo il lavoro del marito di Anna non andava più a gonfie vele, e neanche la segretaria aveva più quelle attenzioni che lui, oramai di una certa età, avrebbe voluto avere. Questo fece in modo che lui passasse più tempo a casa e fu lì che si accorse che la donna che aveva vicino possedeva un grande fascino, del quale da tempo pareva non rendersene conto. Sicuramente in quel periodo lei aveva molta più cura di sé e la vicinanza di Filippo le aveva fatto riacquisire quella leggerezza che sembrava perduta. Il marito aumentò le attenzioni nei suoi confronti, e a lei tutto ciò non dispiaceva, ma la destabilizzò. Aveva perso quella sicurezza e quell’equilibrio che si era creata nel tempo.
Intanto, Filippo perse la testa. L’aver ritrovato Anna, nel pieno della maturità, dopo tutti quegli anni l’aveva fatto rinascere. Non riusciva più a fare a meno di quegli incontri, tanto da decidere, azione rara fino a quel momento della sua vita,  di voler fare quel passo per avvicinarsi ancora di più. Lei se ne accorse e in alcuni momenti avrebbe voluto assecondarlo in tutti i modi, in altri invece pensava al rapporto ristabilito con il marito, che nonostante tutti quegli anni di silenzi non voleva perdere. Questa sua forte indecisione permise a Filippo di trovare il punto debole da scalfire per permettergli di entrare definitivamente nella sua vita, ma allo stesso tempo rese questa relazione fortemente complicata. La sua era divenuta, suo malgrado, una vera e propria tattica di approccio, determinata dagli umori di Anna. In alcuni periodi Filippo era insistente, quasi ossessivo, la cercava in continuazione e le mandava sms pieni di passione. In altri sembrava assente, sfuggente, faceva in modo di non incontrarla affatto, neanche per caso. Anna soffriva fortemente per questo, ma in fondo era anche un po’ colpa sua, la sua esitazione e insicurezza faceva sì che lui adottasse questo comportamento. Si trovava in bilico, avrebbe voluto affidarsi completamente a lui, il suo sentimento era forte, ma non riusciva a liberarsi dall’abitudine e dalla quotidianità della sua famiglia. Se avesse abbandonato il suo apparente quieto vivere per cambiare vita cosa sarebbe accaduto? E se Filippo non fosse stato colui che pensava, se dietro il suo volto se ne nascondeva un altro? E poi, perché lasciare una quotidianità lenta e ripetitiva per entrarne in un’altra che sarebbe divenuta uguale? Sicuramente la forte passione sarebbe diminuita e lui come sarebbe diventato? Avrebbe continuato ad amarla incondizionatamente? E in questo lento altalenarsi da un sentimento ad un altro non riusciva a trovare pace.
Comunque, non era abituata al fatto che ora il marito la cercasse più spesso, che volesse stare di più insieme a lei, che le chiedesse le sue opinioni in merito a scelte importanti della propria carriera. Fino a quel momento aveva vissuto ai margini della vita del marito e questo ritrovarsi in pieno nei suoi impegni non sempre le faceva piacere. In modo naturale le cose cambiarono, gli diede il consiglio giusto per il suo lavoro e la carriera del marito riprese a pieno ritmo, comprese le attenzioni della segretaria, che da perfetta opportunista, non appena il suo capo aveva riacquisito il potere che pensava aver perduto ritornò “scintillante” al suo fianco.
Durante il periodo del suo matrimonio aveva sempre lasciato fare.  Aveva capito che il marito avesse un’altra vita oltre a lei, ma non se ne preoccupava. Sapeva benissimo che il solo tentativo di tenerlo legata a lei avrebbe rotto quell’equilibrio che si era creato e a lei stava bene così. Ma questa volta, dopo aver capito che sarebbe stato possibile ritrovare un rapporto con il marito, sicuramente non lo stesso grande amore iniziale, ma una vita a due serena, a differenza di qualche anno prima volle fare di tutto per mantenerlo vicino a sé. Ma non per “folle amore” ma per fuggire da Filippo, per trovare il giusto appiglio per allontanarsi definitivamente da lui. Ciò che provava per Filippo era profondo, le lacerava l’anima era ciò che aveva aspettato per tutta la vita, ma nel contempo ne aveva paura, la paura di lasciarsi andare per essere poi abbandonata. Quando ebbe la certezza che il marito riprese la relazione con la sua segretaria, al posto di fare finta di nulla come al solito, lo affrontò apertamente. Il marito negò ogni coinvolgimento, ma da quel giorno cambiò ogni tipo di loro rapporto. Lui tornava a casa solo per dormire, se non era fuori in “viaggi di lavoro”.
Ormai era chiaro, il marito non aveva più bisogno di lei e Anna si ritrovò di nuovo sola e vulnerabile.
Filippo rimase travolto da una forte passione, non riusciva a liberarsi da questa ossessione, nonostante ci avesse provato in tutti i modi.
Nel periodo in cui lei si allontanò da lui per seguire il marito non aveva più modo di avere un contatto con lei, ciò significava niente più sms, niente più parole tra di loro. Le parole erano il suo modo migliore per starle vicino e nel momento in cui non poteva più rivolgerle direttamente a lei, scriveva. Scriveva in modo ossessivo per lenire quel sottile dolore di cui non riusciva a liberarsi. La casa editrice per cui lavorava aveva una newsletter on line (alla quale si era iscritta anche Anna) che pubblicava i racconti estemporanei dei propri autori. Quel giorno Anna aprì il sito e apparve: “Non riuscivo a dirle Addio” di Filippo Mainardi, il cui incipit era:
“..... e poi ci si affida al tempo sperando che possa sanare ogni cosa e alla speranza dell’oblio che alcune volte esso stesso provoca. Ma io non voglio dimenticare e aspetterò per sempre”. Lei capì subito che quelle parole erano rivolte a lei, lasciò entrare nuovamente Filippo nella sua vita, ma continuando a mantenere quella forte indecisione: resto, non resto, vai via, ti prego resta, basta vado via.
Lui comunque non riuscì neanche dopo l’ennesimo tentativo di addio da parte di lei, a desistere completamente. Sapeva bene che non era finita, che non era un “addio” definitivo, infatti dopo un periodo di sofferenze da parte di tutti e due si rincontrarono e si riaprirono nuovamente  senza freni. 
In uno di questi incontri, che a detta di lei sarebbe stato l’ultimo, Filippo raccolse un foglietto che era scivolato fuori dall’agenda di Anna e lo lesse fino in fondo:
 “Avevi detto basta. Avevi detto che non avresti più insistito. Avevi detto che volevi riprenderti la tua dignità. Avevi detto che non doveva importartene più nulla. E sei ancora qui. Avevi detto che non dovevi abituarti ai piccoli granelli di felicità… e già ti mancano. Avevi detto che non dovevi accettare più quegli inviti. Avevi detto che non avresti risposto, invece hai risposto e anche di più, e sei lì che aspetti che ritornino quei messaggi.  L’addio, non una parola diretta di risposta, all’improvviso una frase buttata lì non diretta a te, ma gettata nell’etere e sapeva che l’avresti raccolta, perché sapeva che tu avresti capito che era rivolta a te. Ci sono anime che si capiscono al volo, che sono indivisibili, che non hanno bisogno di parole. Invece tu la vorresti, anche una sola parola, ma è tutto in equilibrio su quei silenzi, che, se profanati, rimettono in moto quel caos che ti distrugge. Tu sapevi che nonostante avessi detto: “Addio!” non sarebbe stato un addio. E sei ancora qui. È una sfida continua. Tu quando sei al colmo del silenzio e del dolore lo provochi, lui ti sfida, non resisti e rompi il silenzio. Quando riesci a uscire da quella bolla, e ti annulli ecco che arriva la provocazione da lontano. Tu ti arrabbi, lui sa che alcuni piccoli dettagli ti fanno male e ti provoca, sa che tu rompi il silenzio quando ti provoca. Non puoi fare a meno di lui. Non può fare a meno di te”.
Dopo aver letto queste parole sentì un forte senso di vuoto nello stomaco, confermò tutto l’amore che provava per lei, e rimettendo a posto il bigliettino nell’agenda, pensò: Non potremo mai fare a meno di noi.


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