Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS)
Avevi detto basta
di Francesca Cammisa
La
sua era un’andatura particolare. Camminava con le punte dei piedi rivolte verso
l’interno, questo lo obbligava a portare
in avanti una spalla rispetto all’altra. Spalle grandi, non muscolose, ma
larghe. Tutto ciò rivelava una timidezza nascosta dietro ad un portamento
apparentemente sicuro e il non saper dove mettere le mani svelava questa sua
natura. Una era aggrappata alla tasca posteriore
dei jeans sul cui braccio era appeso uno zainetto e l’altra si muoveva quasi in
modo inconsulto. Da giovane doveva avere molto seguito tra le ragazze grazie a
quel suo modo di porsi. Lo immagino indossare
le clarks (chissà perché la maggior parte di coloro che indossano le
clarks cammina in quel modo?), i jeans, la “fruit” e la testa leggermente
abbassata e piegata a destra obbligando
i suoi occhi a guardarti dal basso verso l’altro, sguardo timido ma molto
affascinante. Quanti cuori avrà infranto uno sguardo così, da uomo
solitario. Quel portamento ricordava
molto quello di James Dean, nonostante non gli assomigliasse affatto.
In
quegli anni difficili, il mito di James Dean non aveva difficoltà a fare presa.
Anni violenti, in cui o eri davanti alla barricata a menare con i bastoni, in
mezzo alle molotov o ti nascondevi dietro la timidezza e la riservatezza di un
intellettuale. Lui faceva parte di questi ultimi. Leggeva moltissimo, si
rifugiava in Kerouac, Allen Ginsberg, e naturalmente ascoltava la musica dei
cantautori e il Progressive Rock. Nonostante tutto uscì indenne da quegli anni
bui, con quel suo modo di fare aveva delegato i “combattenti” a cambiare il
mondo, ma in fondo neanche loro ci riuscirono, anzi, si passò quasi immediatamente
da anni pieni di “apparenti” ideali ad anni fondati sull’esteriorità. Lui
diceva che molti dei suoi amici andavano
a “menare le mani” non per sostenere un ideale ma solo per il gusto di
prevalere sugli altri, di mostrare la loro superiorità, di avere potere sulle
donne. E in fondo gli anni successivi in parte lo hanno dimostrato. Diceva: “Ha ragione Venditti quando canta: Compagno di scuola, compagno di niente/ti
sei salvato dal fumo delle barricate?/Compagno di scuola, compagno per
niente/ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu? A cosa sono serviti
quei nostri compagni morti così giovani?” Il suo amico di sempre, ogni volta
che ripeteva questo concetto gli rispondeva: “E tu dove eri? Eri nascosto dove
nessuno ti potesse vedere, non hai fatto nulla. Non ti sei sporcato le mani.
Però, a onor del vero, tu il lavoro in banca l’hai rifiutato e noi, dopo aver
lottato nelle barricate, ci ritroviamo a lavorare per le potenti multinazionali
….”
Aveva conosciuto Anna all’Università. Dopo
il liceo aveva deciso di iscriversi alla facoltà di Lettere, voleva insegnare,
voleva scrivere, ma soprattutto voleva studiare la storia per capire la verità
dei fatti. Si rese conto che non ci sarebbe mai riuscito. La storia che viene
tramandata è sempre piena di fatti veri e modificati, ogni storico presenta la
propria versione e spesso non si riesce a capire quale sia la verità.
Raccontava ad Anna: “Non esiste il bianco o il nero, la storia è piena di
sfumature grigie che ti portano a destra, poi a sinistra. Forse è questa la mia
colpa. Ha ragione il mio amico, io non mi sono sporcato le mani, ma non riesco
a trovare la verità né in una, né nell’altra parte, non avrò carattere? Non
avrò ideali? O forse perché possiedo ideali così forti
che non riesco a seguire e credere in nessuno? Adorno diceva: ‘La libertà non sta nello scegliere tra
bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta’, evidentemente
io voglio rimanere libero”.
Anna era sostanzialmente diversa da lui,
era protesa verso il futuro, non si lasciava condizionare dagli avvenimenti del
passato, era una di quelle persone che si adeguava in modo automatico al mutare
dei tempi. Ogni nuova moda era la sua, sembrava non avesse nessun principio
fondamentale che regolasse la sua persona. Si lasciava trascinare dal mondo e
da quel che succedeva intorno. Non per questo poteva essere definita una
persona stupida, piuttosto era, come dire,
leggera, prendeva la vita per come veniva. In fondo erano due persone opposte
che si assomigliavano moltissimo, a loro modo volevano rimanere liberi.
Anna lo incuriosiva per la sua bellezza,
ma il suo modo di essere lo infastidiva, oltretutto ogni esame per lei era un trenta e lode e di
questo era terribilmente invidioso. Lui ogni volta in sede di esame si ritrovava
a discutere con i professori perché aveva la necessità di esprimere la sua
visione dei fatti, che non sempre corrispondeva con quella dell’interlocutore,
e quindi i trenta e lode erano sicuramente meno di quelli di Anna.
Apparentemente
erano inconciliabili, lui rigido nei modi e lei leggera, lui ascoltava Claudio
Lolli e lei Claudio Baglioni, insomma sembravano due mondi all’opposto, ma
nonostante questo ogni mattina facevano in modo di incontrarsi sempre e di
passare la giornata insieme, seguire gli stessi corsi e preparare gli stessi
esami. Si laurearono quasi contemporaneamente e decisero di partecipare insieme
al concorso per l’insegnamento che era stato bandito
da poco. Lo vinsero tutti e due e le loro strade da quel momento si
divisero.
“Eccola di nuovo” pensò Filippo, “mi sembra
proprio lei. È già la terza volta che la vedo passare per questa strada”.
Dopo tanti anni di insegnamento in scuole
situate in altre città o di periferia, finalmente era riuscito ad ottenere il
trasferimento in una zona più centrale, oltretutto vicina alla piccola casa
editrice di cui era collaboratore.
Non era stato facile lavorare in quella
scuola di periferia. Inizialmente ebbe molte difficoltà a fare in modo che i
ragazzi e le loro famiglie avessero fiducia in lui. Fu costretto a decidere di
recarsi a scuola con i mezzi pubblici, raddoppiando il tempo necessario per
arrivarci, a causa dei continui danni alla sua auto
che ritrovava ogni giorno all’uscita di scuola. Ci volle tempo, fatica,
tenacia, perché diventasse un punto di riferimento per tutti gli alunni della
scuola, ma anche per tutto quel difficile quartiere.
Proprio lui che si era sottratto alle
barricate quando era ragazzo si era
ritrovato a combattere in un quartiere violento, pieno di droga, di malaffare e
di violenza. I ragazzi avevano bisogno di una guida, anche se inizialmente lo
rifiutavano, lo allontanavano, lo maltrattavano, lo deridevano. Veniva spesso
assalito, ma dopo essere riuscito a penetrare in quel miasma complicato e a
capirne il “punto debole” divenne il fulcro
di riferimento per tutti. Era
rispettato e nessuno poteva permettersi di fargli del male in nessuna maniera.
Era riuscito a far studiare i ragazzi, sempre nel limite della situazione in
cui si trovavano, ma soprattutto ad interessarli ad altro che non fosse solo la
delinquenza spicciola (e non solo) di quel quartiere che influenzava in modo
determinante le loro vite. Quando si
rese conto che in qualche modo aveva acquisito “un potere” lì, in quella scuola,
in quella situazione sociale, ebbe paura. Anche se il suo era un “potere”
buono, positivo, ciò significava pur sempre
avere predominanza sugli altri, così aveva paura che se questo avesse
prevaricato su di lui, avrebbe potuto abusarne. Non lo aveva fatto da ragazzo e
non voleva farlo proprio ora, oltre i cinquant’anni. Era arrivato il momento di
andare via da lì, ora che aveva ancora la possibilità di farlo, dopo sarebbe
stato troppo tardi, quando si arriva ad una certa età, si è più deboli, si rischia di farsi prendere dai
sentimentalismi.
“Ragazzi” disse all’improvviso, “potrei
non dirvi nulla ma l’anno prossimo non tornerò in questa scuola, ho ottenuto il
trasferimento”. Cadde un gelo improvviso in quella classe, i visi felici dei
ragazzi in quell’ultimo giorno di scuola mutarono in un’espressione triste per
poi trasformarsi in durezza e poi in rabbia.
“Professo’ c’hai tradito!!!! C’hai
abbandonato. Mo’ te ne vai e ce lasci qui in ‘sto quartiere de merda da soli.
Vattene va’ e nun te fa’ più vede’ che nun te ce volemo, nun vulemo un traditore
in questo quartiere.” Urlò tra le
lacrime il ragazzo più difficile della classe.
Il giorno dei quadri arrivò a scuola più
tardi del suo abituale orario per colpa di uno sciopero improvviso della metro.
Lungo la strada che divideva la metro dalla scuola non incontrò nessuno, le vie
erano stranamente deserte. Contrariamente, il piazzale della scuola era pieno
di gente. Si chiese cosa potesse essere accaduto. All’improvviso una sua alunna
urlò: “Professo’, finalmente sei arrivato!!” Si aprì un varco in mezzo a tutta
quella gente e man mano che andava avanti si ritrovò davanti ad uno striscione:
“Professo’ sei ’no stronzo xkè te ne vai ma ci mancherai! Unico e solo nei
nostri kuori.”
Un
forte senso di colpa si impadronì di lui, si era affezionato talmente tanto a
quei ragazzi che a stento riuscì a trattenere le lacrime, “Ecco” pensò “sto
diventando vecchio”.
“Questo tipo di fronte a me ha lo
stesso modo di camminare di Filippo. Con quel modo di mettere i piedi con le
punte rivolte verso l’interno, e le spalle mi sembrano proprio le sue. Ma non
può essere lui, chissà in quale posto del mondo sarà andato a finire”. Anna cominciò ad agitarsi: “Se fosse proprio lui?”
Subito
dopo il concorso, anche Anna cominciò a lavorare quasi immediatamente, pochi
anni in scuole di periferia per poi rimanere, ormai da circa vent’anni, nella
stessa scuola. Una brava professoressa, amata e odiata allo stesso tempo dai
suoi alunni. Ragazzi di media borghesia, annoiati, senza stimoli, il cui ruolo
è solo quello di finire al più presto il liceo, senza eccellere. Passano il
tempo libero nelle strade a bere birra e a ciondolarsi controllando
continuamente lo smartphone. A lei non interessa cambiarli, vuole solo fare bene il suo mestiere di insegnante, non
diventare “maestra di vita”.
Due vite vissute fondamentalmente in
solitudine. Due solitudini diverse. Filippo aveva avuto un paio di relazioni,
tutte e due importanti ma ormai concluse. Non ne aveva sofferto molto, le
viveva in modo passivo lasciandosi trascinare dall’entusiasmo di ognuna di
loro, ma non fece mai nulla perché qualcosa cambiasse o diventasse “per tutta
la vita”. Fu sempre abbandonato. Una volta silenziosamente, lei se ne andò
senza dire una parola portando via tutto da casa. Non gli disse mai il perché,
e lui accettò passivamente. La seconda invece se ne andò con un gran baccano,
urla, pianti, disperazione, cercando appoggio dai loro pochi amici, che non
fecero nulla per aiutarla. Conoscevano bene Filippo e sapevano che ogni loro
piccola intrusione avrebbe significato la rottura anche da parte loro, e non ne
avevano nessuna intenzione. Lei se ne andò sbattendo fragorosamente la porta.
Anche questa volta lui non fece nulla per trattenerla.
Apparentemente sembrava non essere
scalfito da questi due abbandoni, ma interiormente si chiedeva continuamente
perché non riuscisse a tenere ferma e stabile una relazione. Si domandava per
quale motivo fosse incapace di trasmettere emozioni, o forse addirittura di
provarle le emozioni, di lasciarsi andare alla passione. Non riusciva neanche a
provare gioia nel sesso, era diventato per lui un rituale, ma il trasporto o il
desiderio che lui avrebbe voluto provare non sapeva cosa fosse. Era questo che
lo faceva star male, il non essere capace di sentire il fremito, la curiosità, il
non riuscire ad amare incondizionatamente, senza freni, senza inibizioni.
Anna si sposò subito dopo aver ottenuto la cattedra. Un grande amore, una bella festa di
matrimonio, due figli, una famiglia simbolo, perfetta. Lei, una mamma
amorevole, una moglie impeccabile, ma dopo tanti anni si sentiva terribilmente
sola. I figli ormai grandi, un marito da sempre impegnato nel suo lavoro e
nella sua carriera, e forse con la sua segretaria, anche se a lei poco
importava, si rendeva conto che lui aveva trovato la sua realizzazione e a lei interessava solo che fosse sereno a casa, poi
altro non voleva.
“Allora sei proprio tu!” disse lei quando
un giorno all’improvviso si ritrovarono
uno di fronte all’altra all’uscita della metro. Si scoprirono tutti e due impreparati
a quell’incontro, era come se improvvisamente si materializzassero tutte le
fantasie che passarono, in quei giorni di furtive occhiate, nella loro mente,
ma come sempre alla fine è sempre diverso ciò che si immagina che accada da ciò
che succede nella realtà. Furono assaliti ambedue da un calore ed
un’eccitazione improvvisa. Era da tempo che non provavano queste sensazioni
sulla loro pelle. Filippo si meravigliò molto di questa sua reazione, stava
provando un’eccitazione “adolescenziale” ormai quasi dimenticata che non
pensava potesse ancora avvertire. Lei ritrovò invece quelle sensazioni
immaginate e sognate in tutti quegli anni di solitudine, soprattutto nel
momento in cui lui la guardò obliquamente con quello stesso sguardo di quando
era ragazzo che la fece innamorare. Non si dissero nulla, ma capirono che da
quel momento in poi tutto sarebbe cambiato.
Nonostante provassero una felicità
improvvisa nell’incontrarsi, nessuno dei due si espose, dopo i saluti
frettolosi di circostanza si dissero un semplice “Faccio tardi a scuola. Ci si
vede in giro da queste parti”. Avrebbero voluto abbracciarsi, toccarsi,
rimanere a parlare per ore per raccontarsi quegli anni passati lontani l’uno
dall’altra, ma in quel momento tutto ciò non accadde.
I giorni seguenti furono tumultuosi per
entrambi, notti insonni a pensare: se
avessi detto … se avessi fatto, forse non dovevo lasciare che andasse via.
Cominciarono ad avere più cura di loro stessi, a modificare la loro persona,
avrebbero voluto mostrare il meglio, riacquistare una verve che li avrebbe
portati indietro nel tempo, nella
speranza di un nuovo incontro. Il caso volle che si incontrassero molto tempo
dopo, all’uscita da scuola, questo avrebbe permesso loro di potersi salutare
con più calma, senza la fretta dell’impegno imminente.
Decisero di pranzare insieme, per poi
andare in un parco lì vicino, rimasero a parlare per ore senza essersi accorti
che erano arrivati a sera. Avevano immaginato per una vita intera
quell’incontro. In realtà si ritrovarono cambiati. Il tempo modifica le persone
ma l’anima era rimasta sempre la stessa. Rinnovarono i loro incontri. Quasi
ogni giorno dopo la scuola si vedevano, passeggiate, cinema, mostre. In quegli
incontri si sfioravano ma non si toccavano mai veramente, anche se ne provavano
un grande desiderio.
In quel periodo il lavoro del marito di
Anna non andava più a gonfie vele, e neanche la segretaria aveva più quelle
attenzioni che lui, oramai di una certa età, avrebbe voluto avere. Questo fece
in modo che lui passasse più tempo a casa e fu lì che si accorse che la donna
che aveva vicino possedeva un grande fascino, del quale da tempo pareva non
rendersene conto. Sicuramente in quel periodo lei aveva molta più cura di sé e
la vicinanza di Filippo le aveva fatto riacquisire quella leggerezza che
sembrava perduta. Il marito aumentò le attenzioni nei suoi confronti, e a lei
tutto ciò non dispiaceva, ma la destabilizzò. Aveva perso quella sicurezza e
quell’equilibrio che si era creata nel tempo.
Intanto, Filippo perse la testa. L’aver
ritrovato Anna, nel pieno della maturità, dopo tutti quegli anni l’aveva fatto
rinascere. Non riusciva più a fare a meno di quegli incontri, tanto da
decidere, azione rara fino a quel momento della sua vita, di voler fare quel passo per avvicinarsi ancora
di più. Lei se ne accorse e in alcuni momenti avrebbe voluto assecondarlo in
tutti i modi, in altri invece pensava al rapporto ristabilito con il marito,
che nonostante tutti quegli anni di silenzi non voleva perdere. Questa sua
forte indecisione permise a Filippo di trovare il punto debole da scalfire per
permettergli di entrare definitivamente nella sua vita, ma allo stesso tempo
rese questa relazione fortemente complicata. La sua era divenuta, suo malgrado,
una vera e propria tattica di approccio, determinata dagli umori di Anna. In
alcuni periodi Filippo era insistente, quasi ossessivo, la cercava in
continuazione e le mandava sms pieni di passione. In altri sembrava assente,
sfuggente, faceva in modo di non incontrarla affatto, neanche per caso. Anna
soffriva fortemente per questo, ma in fondo era anche un po’ colpa sua, la sua
esitazione e insicurezza faceva sì che lui adottasse questo comportamento. Si
trovava in bilico, avrebbe voluto affidarsi completamente a lui, il suo
sentimento era forte, ma non riusciva a liberarsi dall’abitudine e dalla
quotidianità della sua famiglia. Se avesse abbandonato il suo apparente quieto
vivere per cambiare vita cosa sarebbe accaduto? E se Filippo non fosse stato
colui che pensava, se dietro il suo volto se ne nascondeva un altro? E poi,
perché lasciare una quotidianità lenta e ripetitiva per entrarne in un’altra
che sarebbe divenuta uguale? Sicuramente la forte passione sarebbe diminuita e
lui come sarebbe diventato? Avrebbe continuato ad amarla incondizionatamente? E
in questo lento altalenarsi da un sentimento ad un altro non riusciva a trovare
pace.
Comunque,
non era abituata al fatto che ora il marito la cercasse più spesso, che volesse
stare di più insieme a lei, che le chiedesse le sue opinioni in merito a scelte
importanti della propria carriera. Fino a quel momento aveva vissuto ai margini
della vita del marito e questo ritrovarsi in pieno nei suoi impegni non sempre
le faceva piacere. In modo naturale le cose cambiarono, gli diede il consiglio
giusto per il suo lavoro e la carriera del marito riprese a pieno ritmo,
comprese le attenzioni della segretaria, che da perfetta opportunista, non
appena il suo capo aveva riacquisito il potere che pensava aver perduto ritornò
“scintillante” al suo fianco.
Durante
il periodo del suo matrimonio aveva sempre lasciato fare. Aveva capito che il marito avesse un’altra
vita oltre a lei, ma non se ne preoccupava. Sapeva benissimo che il solo
tentativo di tenerlo legata a lei avrebbe rotto quell’equilibrio che si era
creato e a lei stava bene così. Ma questa volta, dopo aver capito che sarebbe
stato possibile ritrovare un rapporto con il marito, sicuramente non lo stesso
grande amore iniziale, ma una vita a due serena, a differenza di qualche anno
prima volle fare di tutto per mantenerlo vicino a sé. Ma non per “folle amore”
ma per fuggire da Filippo, per trovare il giusto appiglio per allontanarsi
definitivamente da lui. Ciò che provava per Filippo era profondo, le lacerava
l’anima era ciò che aveva aspettato per tutta la vita, ma nel contempo ne aveva
paura, la paura di lasciarsi andare per essere poi abbandonata. Quando ebbe la
certezza che il marito riprese la relazione con la sua segretaria, al posto di
fare finta di nulla come al solito, lo affrontò apertamente. Il marito negò
ogni coinvolgimento, ma da quel giorno cambiò ogni tipo di loro rapporto. Lui
tornava a casa solo per dormire, se non era fuori in “viaggi di lavoro”.
Ormai
era chiaro, il marito non aveva più bisogno di lei e Anna si ritrovò di nuovo
sola e vulnerabile.
Filippo rimase travolto da una forte
passione, non riusciva a liberarsi da questa ossessione, nonostante ci avesse
provato in tutti i modi.
Nel periodo in cui lei si allontanò da lui
per seguire il marito non aveva più modo di avere un contatto con lei, ciò
significava niente più sms, niente più parole tra di loro. Le parole erano il
suo modo migliore per starle vicino e nel momento in cui non poteva più
rivolgerle direttamente a lei, scriveva. Scriveva in modo ossessivo per lenire
quel sottile dolore di cui non riusciva a liberarsi. La casa editrice per cui
lavorava aveva una newsletter on line (alla quale si era iscritta anche Anna)
che pubblicava i racconti estemporanei dei propri autori. Quel giorno Anna aprì
il sito e apparve: “Non riuscivo a dirle Addio” di Filippo Mainardi, il cui
incipit era:
“.....
e poi ci si affida al tempo sperando che possa sanare ogni cosa e alla speranza
dell’oblio che alcune volte esso stesso provoca. Ma io non voglio dimenticare e
aspetterò per sempre”. Lei capì subito che quelle parole erano rivolte a lei,
lasciò entrare nuovamente Filippo nella sua vita, ma continuando a mantenere
quella forte indecisione: resto, non resto, vai via, ti prego resta, basta vado
via.
Lui
comunque non riuscì neanche dopo l’ennesimo tentativo di addio da parte di lei,
a desistere completamente. Sapeva bene che non era finita, che non era un
“addio” definitivo, infatti dopo un periodo di sofferenze da parte di tutti e
due si rincontrarono e si riaprirono nuovamente
senza freni.
In uno di questi incontri, che a detta di
lei sarebbe stato l’ultimo, Filippo raccolse un foglietto che era scivolato
fuori dall’agenda di Anna e lo lesse fino in fondo:
“Avevi detto basta. Avevi detto che non
avresti più insistito. Avevi detto che volevi riprenderti la tua dignità. Avevi
detto che non doveva importartene più nulla. E sei ancora qui. Avevi detto che
non dovevi abituarti ai piccoli granelli di felicità… e già ti mancano. Avevi
detto che non dovevi accettare più quegli inviti. Avevi detto che non avresti
risposto, invece hai risposto e anche di più, e sei lì che aspetti che
ritornino quei messaggi. L’addio, non
una parola diretta di risposta, all’improvviso una frase buttata lì non diretta
a te, ma gettata nell’etere e sapeva che l’avresti raccolta, perché sapeva che
tu avresti capito che era rivolta a te. Ci sono anime che si capiscono al volo,
che sono indivisibili, che non hanno bisogno di parole. Invece tu la vorresti,
anche una sola parola, ma è tutto in equilibrio su quei silenzi, che, se
profanati, rimettono in moto quel caos che ti distrugge. Tu sapevi che
nonostante avessi detto: “Addio!” non sarebbe stato un addio. E sei ancora qui.
È una sfida continua. Tu quando sei al colmo del silenzio e del dolore lo
provochi, lui ti sfida, non resisti e rompi il silenzio. Quando riesci a uscire
da quella bolla, e ti annulli ecco che arriva la provocazione da lontano. Tu ti
arrabbi, lui sa che alcuni piccoli dettagli ti fanno male e ti provoca, sa che
tu rompi il silenzio quando ti provoca. Non puoi fare a meno di lui. Non può
fare a meno di te”.
Dopo aver letto queste parole sentì un
forte senso di vuoto nello stomaco, confermò tutto l’amore che provava per lei,
e rimettendo a posto il bigliettino nell’agenda, pensò: Non potremo mai fare a meno di noi.
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