Un incontro da sogno (La mia penna)

                             

Racconto pubblicato in "Diciott'anni e dintorni" - Viola Editrice 2016 
    
Finalista XV ed. Premio Letterario Nazionale Giovane Holden (2021) - Sezione Edito - Raccolta di racconti                             

                                                               Un incontro da sogno

She rises early from bed
Runs to the mirror 
The bruises inflicted in moments of fury

Queste erano le parole che risuonavano nel suo ipod in quel momento, When poets dreamed of angels di David Sylvian erano le note giuste, in quell’esatto istante, in quel posto. Camminava di buona lena sul sentiero in mezzo al bosco.  Scarponi e zaino in spalla e la necessità di doversi isolare, per riflettere, per capire la ragione degli eventi che accaddero nella sua vita fino ad allora.

Le conferiamo il titolo di dottore in Giurisprudenza con la votazione di 110 e lode”. Avrebbe dovuto essere felice, aveva finalmente terminato gli studi in perfetta regola, in tempo, con il voto migliore, con i complimenti della commissione, ma accolse quel conferimento come un normale compimento del suo percorso. Aveva frequentato quella facoltà d’un fiato, dato esami con la stessa velocità, senza passione, senza entusiasmo. lo aveva fatto solo perché si doveva fare e basta, non aveva scelta né alternativa.
Una caratteristica del suo carattere era quella di cercare di trarre il meglio da ogni cosa le capitasse anche se non era proprio ciò che avrebbe voluto, quindi avrebbe provato a seguire una strada che trovasse qualche incrocio interessante con le sue aspettative. Ma poi perché aveva deciso di intraprendere quel tipo di studi? Perché sapeva che quel che lei avrebbe voluto fare non avrebbe trovato il consenso della sua famiglia, e anche perché sapeva perfettamente che non aveva i numeri giusti per riuscire bene, come si doveva, in quel campo, anche se sin da piccola aveva sempre sognato che sarebbe stata quella la sua strada. Ma non aveva avuto il coraggio di prendere quella via, e alcune volte si chiedeva che forse  in realtà non sapesse esattamente quello che avrebbe voluto fare. Tutto andava bene per lei, trovava in ogni ambiente qualcosa di interessante. Difficile trovare un punto di incontro in quel groviglio che aveva nella testa. Impossibile trovare la determinazione, tutto vagava come cellule impazzite in cerca di una collocazione che mai avrebbero trovato. Era come un vivere a “metà”, mai nulla fatto e vissuto fino in fondo.

- Cosa fai? Vieni da me stasera?
- Non lo so, devo ancora decidere.
- Sei sempre indecisa. Mai che tu mi dia una risposta certa. Sempre boh, non so. Ti aspetto alle otto. Per favore non tardare, alle nove comincia il film e io vorrei aver già finito di cenare.
Sale l’ansia. Quella sera avrebbe voluto rimanere a casa per finire il libro, poi quel film horror proprio non le piaceva. Poi ci ripensò, ma sì, in fondo uscire un po’ le avrebbe fatto bene.
- Mi spieghi una cosa? Perché hai deciso di fare la domanda per l’Erasmus in Germania? Proprio la Germania! Non potevi scegliere la Francia che è più vicina?
- Ma all’Università di Berlino c’è un corso specifico sull’argomento sul quale mi vorrei laureare, a Parigi non c’è.
- Io non voglio che tu vada a Berlino. Così lontano. Anzi non vorrei proprio che andassi fuori. Non posso rimanere senza di te. 
- Ma sì, in fondo non mi andava neanche di partire. Non lo faccio più l’Erasmus resto a Roma.
Il tempo passava, ormai lei si era abituata al fatto che qualcuno decidesse sempre per lei, si era adagiata su quella storia che non le piaceva, ma era più comodo così lasciarsi trasportare senza dover fare la fatica di pensare a quello che avrebbe dovuto dire o fare. Lui aveva fatto in modo che lei fosse così, aveva deciso anche quale doveva essere il suo carattere. Aveva deciso quale amici dovessero frequentare, quali film andare a vedere, che tipo di vacanze fare, dove andare. A lei sarebbe piaciuto andare in vacanza in montagna. Da ragazza, con la sua famiglia ci andava sempre. Le piaceva la neve, le piacevano le montagne, i panorami infiniti, i boschi, l’odore del muschio, le piaceva sciare, le piaceva camminare. Lui amava il mare, la barca a vela, settimane intere in mezzo al mare e d’inverno vacanze nei paesi esotici insieme al gruppo di sub. Imparò ad andare sott’acqua, con le bombole e senza bombole, ma in fondo erano bei paesaggi anche quelli. Rinunciò alla montagna, ma non fece neanche nulla per convincere lui a provare a mettersi un paio di sci e lasciarsi scivolare sulle piste innevate con il vento che ti passava e ti ghiacciava al viso.
Da piccola ogni inverno si andava a sciare e ogni estate si andava in montagna. Il mare non era previsto. I suoi costringevano lei e i suoi fratelli a lunghe camminate interminabili, erte salite, e lunghe ferrate sotto il sole. Non si poteva protestare, né lamentarsi, si doveva camminare. In inverno venivano lasciati ai maestri di sci mentre “i grandi” andavano per piste nere. Quante volte si ritrovavano da soli fuori pista a cercare di uscire dalla neve fresca che arrivava loro fino alle anche, cercando di rincorrere gli sci che scendevano giù da soli fino a valle. Una volta, poteva avere 6 o 7 anni dopo aver finito lezione, lei e suo fratello si ritrovarono in fondo alle piste per mangiare il pranzo al sacco che avevano lasciato loro. I panini e, a parte, il salame o il formaggio da metterci dentro. Avevano a disposizione un coltellino svizzero, di quelli a scatto, per poter preparare i panini. Aveva il terrore di quel coltellino, perché sapeva benissimo che non era in grado di gestire “lo scatto”, provò a chiuderlo piano piano, ma non pensò che il suo mignolo si trovava lì nel mezzo, tra la lama e il legno. Il coltellino scattò all’improvviso e il mignolo rimase penzolante a metà, col sangue che usciva e che provò a fermare infilandosi il guantino blu a manopola. Vagò per le piste, senza versare una lacrima, perché sapeva che la colpa era la sua e avrebbe dovuto stare più attenta, cercando di intravedere quella giacca a vento nera che forse avrebbe potuto salvarla. Ma aspettò molto tempo prima che accadesse, l’unico modo per poter avvisare i suoi era il passaparola tra gli sciatori. “C’è una bimba con una mano ferita con la giacca a vento rossa al campo scuola”. La parola giunse anche alla “giacca a vento nera” che finalmente raggiunse la “povera bimba disperata”.

- Stasera ti vengo a prendere io. Ti porto fuori a cena. Andiamo a mangiare la pizza.
- Sei contenta che ti ho portata qui?
- Mah! avrei preferito cinese, ma va bene lo stesso.
- Ti devo parlare... Mi hanno offerto un posto a Milano. Parto tra una settimana.
Rimase lì sconcertata, aspettando il seguito di quella frase che non arrivava mai. Fino a che non provò lei a dire:
- Bene, sono contenta, così ti verrò a trovare. Milano non la conosco, è la giusta occasione per conoscere un ambiente nuovo.
Di nuovo un silenzio imbarazzante. Fino a che all’improvviso disse:
- Non c’è posto per te. La mia carriera è più importante ora.
Gli tolse l’impaccio di doversi giustificare, non disse più una parola. Si alzò e se ne andò.
Dopo quattro anni passati con quell’uomo doveva ricominciare a colmare quel vuoto che si era creato. Ora nessuno decideva più per lei. Vagava in attesa di trovare la giusta via da seguire, non aveva più nessuno che gliela indicasse.
Ma sì, in fondo meglio così, sto bene anche da sola, nonostante questa ricerca continua di qualcosa che non trovo”.
Era il momento di dirlo ai suoi. “Te lo avevamo detto che quella persona non ci piaceva. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso!”. Questa frase era il leitmotiv che la legava alla vita passata con i suoi. Qualunque cosa le accadesse era sempre colpa sua, non doveva “piangere sul latte versato”, perché se il latte era caduto per terra era solo colpa sua e per tale ragione non l’avrebbero mai aiutata a ripulire. Ma, rifletteva, le avevano mai insegnato come si faceva a non far cadere il latte? Le dicevano, questo si fa, questo non si fa?  Ma come si fanno le cose, mi insegnate? Te la devi vedere da sola ….. Tutto ciò la fece crescere con forte senso di insicurezza, con la sensazione di non riuscire a farcela, ma in compenso in qualche modo, bene o male e a sue spese, riusciva a districarsi in ogni situazione, sapeva trovare sempre una soluzione e a risolvere i problemi.
In realtà ora era finalmente libera. Frequentava l’università con più assiduità. Sempre in bilico sulle decisioni da prendere. Si affidò per un periodo ad un ricercatore a tempo determinato appena arrivato, che la seguiva in qualità di tutor. Era giovane. Aveva degli occhi profondi che la scrutavano, occhi che cercavano di capire la natura di quella ragazza, a tratti piena di sensualità, una sensualità che lo incuriosiva, lo eccitava e a tratti di una rigidità che non gli permetteva di scalfire neanche un suo pensiero.
Ma gli piaceva coinvolgerla in ogni attività extrauniversitaria facesse. Mostre, cinema, passeggiate notturne nella città deserta, passeggiate in mezzo ai boschi, domeniche al mare, giri immensi in bicicletta. Lei scoprì di non essere poi così pigra e che le piaceva il mondo e viverlo. Leggevano gli stessi libri per poi scambiarsi le opinioni in merito. Litigavano, ridevano, a tratti si odiavano, studiavano, in alcuni periodi si isolavano, non se lo erano mai detti ma poteva sembrare amore profondo. Mancava solo il sesso, era inespresso, ma dentro di loro sentivano una forte eccitazione quando stavano insieme. Le persone che vivono vicino a noi determinano il nostro essere, non sapremo mai chi siamo veramente.
- Fai domanda per l’Erasmus finché sei in tempo. Conosco il team di Berlino, sono sicuro che ti troverai bene.
Il giorno prima di prendere l’aereo gli disse: Domani parto.
- Mi mancherai da morire. Quando tornerai io non sarò più qui.
Si stabilì a Berlino. La borsa durava 12 mesi. In fondo nel gruppo non si trovava male, approfondì la lingua tanto da riuscire alla fine a parlare quasi correntemente il tedesco e approfondì la materia di studio per la quale aveva scelto proprio quel posto. I contatti con l’Italia man mano si diradavano, sentiva a mala pena i suoi (a dire il vero non ne sentiva poi la mancanza), le poche amicizie che le erano rimaste le frequentava virtualmente su FB. Poche, sentite e rare parole da parte loro da risultare alla fine quasi inutili. Ma lei continuava a cercare di mantenere quei labili contatti, perché aveva piacere a farlo anche se si rendeva conto che tutto rimaneva così sospeso nella virtualità, nessun calore umano, sempre le stesse parole ripetute continuamente. In fondo quello che le interessava ora era portare a termine quella borsa di studio in modo eccellente, dare gli esami che le interessavano e arricchire il suo curriculum. Per poi fare cosa nella sua vita? Questo non lo sapeva neanche lei.
Dopo qualche mese le arrivò una mail. Era il suo tutor che aveva lasciato a Roma, che, dopo due mail veloci di saluto appena arrivata a Berlino, era sparito nel nulla. Ma in fondo lei sapeva non aspettarsi nulla dalle persone. Questo la rendeva apparentemente arida, ma in realtà rimuginava in continuazione sui perché e i percome di alcuni comportamenti delle persone che aveva intorno. Si chiedeva se fosse per colpa sua, per colpa di qualcosa che aveva detto o fatto, ma spesso risposte non ne trovava. Ma era spesso in preda a continui sensi di colpa per l’allontanarsi di persone a cui lei teneva.
“Caro amore mio,
mi sei mancata e mi manchi ancora. Mi manca tutto ciò che abbiamo fatto insieme, ma mi manca soprattutto ciò che non abbiamo fatto, che non abbiamo avuto il tempo di fare, o che forse non abbiamo voluto fare anche se lo volevamo fortemente. Sto lasciando Roma, il mio tempo qui è terminato. Mi hanno chiamato a Madrid per una cattedra di Diritto Internazionale, lo stesso tuo corso a Berlino.  Tra quindici giorni dovrò essere lì.
Tu come stai? Sono certo che stai andando avanti come un treno ….
A presto
Un bacio, Fabrizio”

“Mio caro,
come scriveva Vittorio Alfieri “volli, e volli sempre, e fortissimamente volli”, nonostante non portammo a compimento ciò che “volevamo fortemente”. Congratulazioni per Madrid te lo sei meritato.
Non ho tempo di pensare a come sto, il treno corre troppo veloce.
Baci.
Beatrice”
Domanda difficile a cui rispondere. Come stai? Domanda di convenzione di cui spesso non si vuole conoscere la risposta, meglio non chiedere se non si vuole entrare nei meandri di lamentele gratuite.  Il “come stai?” sottintende una serie di quesiti. Come stai fisicamente, come ti trovi in un determinato posto, come stai in generale. Ma mai, credo mai chi te lo chiede voglia sapere come stai veramente, che cosa stia succedendo nella tua anima, ciò implica un’attenzione nell’ascolto difficile da sostenere in questi tempi. Il telefono squilla, WhatsApp invia notifiche in continuazione, bisogna pur rispondere …. Insomma non si ha mai il tempo di ascoltare. Allora è più semplice non rispondere a chi ti fa la domanda o rispondere con un convenzionale: bene, insomma e tu? Non ci si espone, ci si toglie gratuitamente dall’impaccio.
Lo scambio di mail finì lì. Lei non scrisse più di tanto per non impelagarsi in intrecci dai quali le sarebbe stato difficile districarsi. In fondo non vi era alcuna domanda e quindi non era prevista nessuna risposta.
Passato un po’ di tempo, uscendo dall’aula se lo ritrovò davanti mentre parlava con i colleghi tedeschi. Sembrava che li conoscesse proprio bene, ridevano, scherzavano, non le aveva detto di questo rapporto così stretto tra loro. Quando la vide, non si girò subito verso di lei, ma voltò solo gli occhi inviandole un cenno impercettibile che solo lei riconobbe. Si avvicinò per salutarlo, quando i colleghi tedeschi capirono il rapporto stretto tra i due, cambiarono immediatamente atteggiamento nei suoi confronti, la accolsero più benevolmente, ciò le aprì nuove strade nel percorso che stava facendo in quell’Università. Passarono due giorni insieme. Due giorni di amore, passione, sesso, tutto ciò che non era stato espresso nei loro giorni a Roma. Era tutto nuovo. Lei entrò in un vortice di sentimenti ai quali non era abituata, che in realtà non aveva mai provato. Non subiva più passivamente ciò che la persona di fronte le proponeva, ma era diventata parte attiva e soprattutto volitiva del gioco. Voleva sperimentare, non aveva più paura, non si vergognava più, ed era disposta a fare tutto ciò che le venisse chiesto, in cambio pretendeva che venisse fatto tutto ciò che lei richiedeva! Si sentiva finalmente libera in questo gioco, come non lo era mai stata. Pensava di non essere capace di provare queste nuove pulsioni, era convinta che amore e passione non esistessero, che fossero solo l’invenzione di scrittori troppi romantici. Scoprì di essere gelosa, una gelosia che la rendeva terribilmente insicura, una gelosia esternamente inespressa ma che le rodeva l’anima, si ritrovava irriconoscibile a sé stessa. Mai e poi mai avrebbe pensato di provare un forte senso d’odio nei confronti di una splendida turista che chiedeva delle semplici informazioni. Oltretutto lui riceveva continui messaggi e telefonate alle quali rispondeva sempre e lei stava male perché non aveva il coraggio di chiedere con chi si scambiasse così tanta “corrispondenza”. A lei normalmente, quando lo chiamava al cellulare, a mala pena rispondeva e quelle poche volte che accadeva riceveva brevi risposte di convenzione. Si era innamorata, ma di quegli innamoramenti passionali senza freni inibitori, che ti rendono capace di tutto. Ma fino ad un certo punto. Non ebbe il coraggio di fargli delle domande alle quali avrebbe voluto una risposta. Non gli chiese mai se era solo, neanche da chi ricevesse quei numerosi messaggi o con chi parlasse in modo così “gioviale”. L’ultima sera quando uscirono dal ristorante lui si allontanò con uno “scusa un attimo che risolvo questa questione”, la lasciò da sola in mezzo alla piazza per mezz’ora ad aspettare che finisse quella interminabile telefonata. C’erano degli aspetti del suo carattere che detestava in modo assoluto, ma nonostante tutto non riusciva a fare a meno di lui.
Arrivò il momento della partenza. Lei non lo dava a vedere ma era disperata, sentiva che non sarebbe riuscita a fare a meno di quell’unico uomo capace di renderla felice. Ma non ebbe il coraggio di chiedergli cosa sarebbe stato di loro dopo quel distacco. Aveva paura che la  risposta non corrispondesse al suo intimo volere. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, su di lui, sulla sua vita, ma soprattutto cosa pensasse di lei, se l’amava incondizionatamente o se era solamente una forte passione. Alcune volte è meglio non chiedere, le risposte potrebbero poi risultare delle lame fendenti. Non chiedeva, ma sentiva dentro di sé, anche se non riusciva a capire la ragione di questo, che lui a modo suo l’amava profondamente, ma di certo non come avrebbe voluto lei. Il giorno dopo la partenza, nonostante mille insicurezze, decise di inviargli un messaggio.
Ho passato tre giorni indimenticabili, pieni di passione. Ho provato ciò che mai è passato nella mia anima, nel mio cuore, un amore incondizionato. Io sono qui, ti aspetto e ti aspetterò per sempre”. Messaggio che sembrava non meritare una risposta. I giorni che seguirono rimuginò molto su quel messaggio, “forse non gli è arrivato? Non l’ha letto? Non ha avuto il tempo di rispondere. Forse non ha voluto rispondere”. Andava ogni minuto a guardare se per caso le fosse sfuggita la risposta. Si cominciò a chiedere se avesse fatto bene a mandarlo, forse non avrebbe dovuto. Ma perché non rispondeva? Domande alle quali non riuscì a darsi una risposta ma che le resero la vita difficile in quel periodo.
Come si fa a risalire la china sulle sole proprie forze? Si va avanti, non si pensa, si mette tutto da parte, si seppellisce il dolore, un giorno poi riverrà su tutto insieme. Quel giorno si vedrà …..
Il gruppo di Berlino non sapeva esattamente cosa ci fosse tra di loro, erano sicuri che fosse solo un’amicizia legata allo studio e al culto della materia. Una di loro un giorno parlando si lasciò sfuggire alcuni dettagli su di lui, di cui lei non sapeva assolutamente nulla. “È stato sposato con una bellissima ragazza, una nostra collega dell’Università, che appena si rese conto della inconsistenza emotiva di Fabrizio lo lasciò senza pensarci due volte”. “Che vuoi dire con “inconsistenza emotiva”? “Gli piacevano, anzi gli piacciono le donne, troppo, era pieno di amiche. Anche se lei non ebbe mai la certezza di un suo tradimento, si sentiva umiliata in continuazione. Per questo lei lasciò l’Università, se ne andò dalla città per un periodo, per poi ritornare, divorziare, abbandonare completamente la carriera universitaria, risposarsi con un commercialista ed avere tanti figli e fare la perfetta mamma e casalinga. Lui partì e non lo rivedemmo più. Fino all’altro giorno”. Faceva fatica a non far trasparire le fiamme che la stavano divorando in quel momento. “Lei mi ha detto che si sono sentiti in questi giorni. Lui l’ha chiamata. Sembra solo per sapere come stesse.” Le venne un senso di nausea che fece davvero fatica a trattenere. Fino ad un minuto prima pensava che lui fosse venuto a Berlino solo per lei, invece si rese conto che non era così.  Non sapeva cosa pensare, stava male al pensiero di non essere il suo unico motivo di passione. Lo odiava, subito dopo ci ripensava e trovava dentro di sé tutte le scusanti al suo comportamento. Ora si dava una ragione sul perché della mancata risposta al suo sms, dopo un minuto ribaltava ogni sua congettura e pensiero. Stava male. Per fortuna aveva terminato tutti gli esami a Berlino e aveva raccolto il materiale che le sarebbe servito per la tesi di laurea, altrimenti, per la prima volta nella sua vita non sarebbe stata in grado di gestire le attività di studio con quella tempesta di sentimenti che la stavano consumando. Cercava di non pensarci, ma alcune volte sentiva la necessità di avere un contatto con lui, avrebbe voluto scrivergli, ma la mancata risposta a quell’sms le bruciava ancora e non avrebbe voluto raddoppiare quella delusione. Intanto, più durava la sua permanenza a Berlino e più si accumulavano gli aneddoti e le storie su di lui che le venivano raccontate. Ogni volta si rinnovava il dolore, perché in realtà le veniva raccontata una persona completamente diversa da quella che lei pensava di conoscere. Purtroppo si trovò costretta, per concludere la sua tesi, a scrivergli. Ci pensò tre giorni a come impostare quella mail. La scriveva, la cancellava, la riscriveva in continuazione. Avrebbe voluto urlargli la sua rabbia, oppure in altri momenti pensava necessario scrivergli facendo finta di nulla. Ma una mail informale non bastava, doveva lasciare un segno per fargli capire che lui c’era sempre e rimaneva dentro di lei.
“Caro Fabrizio,
ti allego una serie di richieste di informazioni a me necessarie per la tesi. Ti sarei grata se potessi aiutarmi, sono gli ultimi tasselli necessari per terminarla.
E’ da un po’ che non ci sentiamo, non mi hai fatto sapere nulla della tua nuova sistemazione. Spero di sentirti presto.
Un bacio.
Beatrice”.
“Cara Bea,
ti mando le informazioni che mi hai richiesto. Mi piacerebbe molto se appena finita potessi inviarmi la tesi, vorrei tanto leggerla.
Avrei voluto tanto sentirti molto prima, mi sei mancata.
Un tenero bacio.
Fabrizio”.
Questa mail la destabilizzò ulteriormente, lui era sparito e lei avrebbe dovuto farsi sentire? Ma se gli mancava perché non la cercava? Lasciò cadere la cosa, lo ringraziò affettuosamente e decise di voler lasciare alle spalle qualcosa che la rendeva insicura e ansiosa.

Lasciò finalmente Berlino. Prese la decisione di passare da Milano per andare a trovare quell’uomo che l’aveva lasciata improvvisamente, quell’uomo che aveva determinato il suo essere fino ad un certo punto della sua vita, quell’uomo per il quale non aveva mai provato quell’amore profondo che allora non sapeva neanche si potesse provare, quell’uomo che non le aveva lasciato nulla. Ma in fondo, rimaneva sempre dell’affetto nei suoi confronti, diciamo “fraterno”.
- Sono felice che tu sia venuta a trovarmi. Sai in questi due anni il lavoro mi ha preso molto, ho avuto molto da fare, sono stato molto sotto pressione, per questa ragione non ho sentito la tua mancanza. Ma ora che ti vedo ti ritrovo diversa, una luce nuova nei tuoi occhi, una forte carica che non avevi allora. La permanenza a Berlino ti ha fatto veramente bene!
- Sei solo?
- Sì, sono solo, non ho avuto il tempo di coltivare nessun rapporto. Qualche storiella breve, di sesso o di convenienza da parte loro, ma nulla di importante. E tu?
Cosa rispondere? Pensava quale potrebbe essere stata una giusta risposta, ma purtroppo non la sapeva neanche lei. Nonostante ciò che accadde, nonostante la sua volontà di allontanarsi, si sentiva profondamente legata a Fabrizio, esisteva solo lui. Ma in fondo quale era il rapporto che li legava? Non lo sapeva. Avrebbe voluto dire: “Io invece sto un uomo”, ma così non fu.
- Sono sola anche io.
- Ti prego, riproviamoci. Vieni a vivere a Milano.
- Va bene. Ma prima del mio trasferimento a Milano lasciami riflettere. Fra pochi mesi dovrò laurearmi, dopodiché avrò la lucidità necessaria per costruire la mia vita.
Si rimisero insieme, ma con un rapporto a distanza. Ogni tanto si raggiungevano a vicenda. Ma tutti e due sentivano che qualcosa mancava. La fiamma era tenue come sempre era stato tra loro due, l’abitudine era preponderante.
Prima di consegnare definitivamente la tesi la mandò a Fabrizio per un suo parere.
Congratulazioni Bea! Una bellissima tesi! Sarà un successo!
Baci
Non gli rispose. Le riaffiorarono tutti quei sentimenti che aveva cercato di seppellire, che aveva provato a metter da parte, che voleva dimenticare. Ma tutto ritornò vivo come prima. Fabrizio riprese a essere il maggior e unico pensiero, dal mattino fino a sera, rimanendo il suo sogno prevalente.
Era in difficoltà non sapeva più quale sarebbe stato il giusto corso della sua vita.

Le conferiamo il titolo di dottore in Giurisprudenza con la votazione di 110 e lode”.
Quel giorno volle che nessuno fosse presente alla discussione della sua tesi e, comunque, Marco non sarebbe sceso perché aveva degli impegni di lavoro a Milano. Le avrebbe pesato se qualcuno, soprattutto i suoi genitori, avessero commentato la sua discussione, visto che avevano sempre qualcosa di ridire su ogni cosa facesse. Ma, appena uscì dall’aula trovò Fabrizio.
- Sei stata bravissima! Eccellente!
In quel momento quel titolo acquisito era l’ultima cosa che poteva interessarle. Non sapeva che dire, non aveva osato neanche sperare in una sua presenza, invece era lì, di fronte a lei.
- Ho una proposta da farti. Stiamo preparando un bando per un dottorato a Madrid. Sono certo che con le tue capacità sarai in grado di vincerlo.
- Ci penserò.
Cosa intendeva con quella proposta? Perché le aveva chiesto di partecipare al dottorato a Madrid? Lei si era informata e anche a Milano c’erano delle buone possibilità, non solo, anche i colleghi di Berlino le avevano chiesto di tornare a lavorare con loro. Si trovava ad un bivio ed era tempo di prendere una decisione.
Andare a Berlino sarebbe significato un percorso lavorativo sicuro, si sarebbe fermata lì e avrebbe fatto sicuramente una importante carriera universitaria. Milano le avrebbe dato una famiglia, una casa, forse sarebbe diventata avvocato di grido o forse avrebbe trovato un lavoro che l’avrebbe in parte soddisfatta. Madrid? E chi lo sa …..
Molti sognano una vita tranquilla. Un amore unico, una vita a due, una famiglia, una felicità senza apparenti scossoni. Questo era quello che sognava lei prima di aver incontrato Fabrizio. Almeno pensava.
Altri vivono in perenne lotta con sé stessi e con il mondo. Quando arriva la felicità, in realtà, è lì tutto che finisce. In continuo e perenne turbamento. Una sofferenza che si rinnova ogni giorno, per sé stessi e per coloro che provano a star loro vicino. Quando sembra che ogni giorno tutto stia per finire, in realtà si riproduce, si rinnova. Tutto ciò li rende vivi. Questo era quello che provava dopo aver conosciuto Fabrizio. Non riusciva a trovare, in quella sua anima confusa, il giusto equilibrio e ciò che avrebbe voluto.

Il bosco man mano si infittiva. Erano meravigliosi quei pochi raggi solari che riuscivano a passare attraverso quei rami di conifere. Inebriata da un profumo di muschio misto a resina camminava di buon passo, ascoltando le note di quella canzone. Lei amava le sonorità di David Sylvian. In fondo un po’ la rappresentavano: a volte dolci melodie, a volte dissonanti, a volte stridenti, a volte suadenti accompagnate da una voce che la distendeva.
Ogni tanto si fermava a raccogliere qualche fragola, o qualche mirtillo. Quell’atmosfera la faceva sentire in pace con sé stessa, si era estraniata completamente dal mondo, nonostante la sua anima, la sua mente e il suo cuore fossero in totale confusione.
All’improvviso, come in un sogno, si trovò di fronte ad un cerbiatto. Lei si fermò. L’animale era fermo e non era per nulla spaventato dalla sua presenza, ed era illuminato dai pochi raggi di sole che oltrepassavano i rami. Rimasero a fissarsi per quasi mezz’ora. In quel tempo ripercorse tutta la sua vita, le immagini, le sensazioni, le gioie e i dolori per poi fermarsi, e come se tutto il movimento caotico del suo cervello si arrestasse all’improvviso e ogni cellula sparisse lasciando la testa completamente vuota, come se dovesse essere tutto ricostruito in un istante. Un rumore improvviso causato da una pigna buttata giù da un ramo da uno scoiattolo, ruppe la magia di quel momento, lei e il cerbiatto si svegliarono improvvisamente da quel sogno che li aveva avvolti.

“When the poets dreamed of Angels
What did they see?
History lined up in a flash at their backs”

“Grazie, piccolo bambi, amico mio. Ora so cosa devo fare. È arrivato il tempo di continuare la mia strada.”



                    

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