Finalista XV ed. Premio Letterario Nazionale Giovane Holden (2021) - Sezione Edito - Raccolta di racconti
Un incontro da sogno
Un incontro da sogno
She rises early from bed
Runs to the mirror
The bruises inflicted in moments of fury
Queste erano le parole che risuonavano nel suo ipod in
quel momento, When poets dreamed of angels di David Sylvian erano le note
giuste, in quell’esatto istante, in quel posto. Camminava di buona lena sul
sentiero in mezzo al bosco. Scarponi e
zaino in spalla e la necessità di doversi isolare, per riflettere, per capire
la ragione degli eventi che accaddero nella sua vita fino ad allora.
“Le conferiamo
il titolo di dottore in Giurisprudenza con la votazione di 110 e lode”. Avrebbe
dovuto essere felice, aveva finalmente terminato gli studi in perfetta regola,
in tempo, con il voto migliore, con i complimenti della commissione, ma accolse
quel conferimento come un normale compimento del suo percorso. Aveva
frequentato quella facoltà d’un fiato, dato esami con la stessa velocità, senza
passione, senza entusiasmo. lo aveva fatto solo perché si doveva fare e basta,
non aveva scelta né alternativa.
Una caratteristica del suo carattere era quella di cercare
di trarre il meglio da ogni cosa le capitasse anche se non era proprio ciò che
avrebbe voluto, quindi avrebbe provato a seguire una strada che trovasse
qualche incrocio interessante con le sue aspettative. Ma poi perché aveva
deciso di intraprendere quel tipo di studi? Perché sapeva che quel che lei
avrebbe voluto fare non avrebbe trovato il consenso della sua famiglia, e anche
perché sapeva perfettamente che non aveva i numeri giusti per riuscire bene,
come si doveva, in quel campo, anche se sin da piccola aveva sempre sognato che
sarebbe stata quella la sua strada. Ma non aveva avuto il coraggio di prendere
quella via, e alcune volte si chiedeva che forse in realtà non sapesse esattamente quello che
avrebbe voluto fare. Tutto andava bene per lei, trovava in ogni ambiente
qualcosa di interessante. Difficile trovare un punto di incontro in quel
groviglio che aveva nella testa. Impossibile trovare la determinazione, tutto vagava
come cellule impazzite in cerca di una collocazione che mai avrebbero trovato.
Era come un vivere a “metà”, mai nulla fatto e vissuto fino in fondo.
- Cosa fai?
Vieni da me stasera?
- Non lo so,
devo ancora decidere.
- Sei sempre
indecisa. Mai che tu mi dia una risposta certa. Sempre boh, non so. Ti aspetto
alle otto. Per favore non tardare, alle nove comincia il film e io vorrei aver
già finito di cenare.
Sale l’ansia. Quella sera avrebbe voluto rimanere a
casa per finire il libro, poi quel film horror proprio non le piaceva. Poi ci
ripensò, ma sì, in fondo uscire un po’ le avrebbe fatto bene.
- Mi spieghi
una cosa? Perché hai deciso di fare la domanda per l’Erasmus in Germania?
Proprio la Germania! Non potevi scegliere la Francia che è più vicina?
- Ma
all’Università di Berlino c’è un corso specifico sull’argomento sul quale mi vorrei
laureare, a Parigi non c’è.
- Io non
voglio che tu vada a Berlino. Così lontano. Anzi non vorrei proprio che andassi
fuori. Non posso rimanere senza di te.
- Ma sì, in
fondo non mi andava neanche di partire. Non lo faccio più l’Erasmus resto a
Roma.
Il tempo passava, ormai lei si era abituata al fatto
che qualcuno decidesse sempre per lei, si era adagiata su quella storia che non
le piaceva, ma era più comodo così lasciarsi trasportare senza dover fare la
fatica di pensare a quello che avrebbe dovuto dire o fare. Lui aveva fatto in
modo che lei fosse così, aveva deciso anche quale doveva essere il suo
carattere. Aveva deciso quale amici dovessero frequentare, quali film andare a
vedere, che tipo di vacanze fare, dove andare. A lei sarebbe piaciuto andare in
vacanza in montagna. Da ragazza, con la sua famiglia ci andava sempre. Le
piaceva la neve, le piacevano le montagne, i panorami infiniti, i boschi,
l’odore del muschio, le piaceva sciare, le piaceva camminare. Lui amava il
mare, la barca a vela, settimane intere in mezzo al mare e d’inverno vacanze
nei paesi esotici insieme al gruppo di sub. Imparò ad andare sott’acqua, con le
bombole e senza bombole, ma in fondo erano bei paesaggi anche quelli. Rinunciò
alla montagna, ma non fece neanche nulla per convincere lui a provare a
mettersi un paio di sci e lasciarsi scivolare sulle piste innevate con il vento
che ti passava e ti ghiacciava al viso.
Da piccola ogni inverno si andava a sciare e ogni
estate si andava in montagna. Il mare non era previsto. I suoi costringevano
lei e i suoi fratelli a lunghe camminate interminabili, erte salite, e lunghe
ferrate sotto il sole. Non si poteva protestare, né lamentarsi, si doveva
camminare. In inverno venivano lasciati ai maestri di sci mentre “i grandi”
andavano per piste nere. Quante volte si ritrovavano da soli fuori pista a
cercare di uscire dalla neve fresca che arrivava loro fino alle anche, cercando
di rincorrere gli sci che scendevano giù da soli fino a valle. Una volta,
poteva avere 6 o 7 anni dopo aver finito lezione, lei e suo fratello si
ritrovarono in fondo alle piste per mangiare il pranzo al sacco che avevano
lasciato loro. I panini e, a parte, il salame o il formaggio da metterci
dentro. Avevano a disposizione un coltellino svizzero, di quelli a scatto, per
poter preparare i panini. Aveva il terrore di quel coltellino, perché sapeva
benissimo che non era in grado di gestire “lo scatto”, provò a chiuderlo piano
piano, ma non pensò che il suo mignolo si trovava lì nel mezzo, tra la lama e
il legno. Il coltellino scattò all’improvviso e il mignolo rimase penzolante a
metà, col sangue che usciva e che provò a fermare infilandosi il guantino blu a
manopola. Vagò per le piste, senza versare una lacrima, perché sapeva che la
colpa era la sua e avrebbe dovuto stare più attenta, cercando di intravedere
quella giacca a vento nera che forse avrebbe potuto salvarla. Ma aspettò molto
tempo prima che accadesse, l’unico modo per poter avvisare i suoi era il
passaparola tra gli sciatori. “C’è una bimba con una mano ferita con la giacca
a vento rossa al campo scuola”. La parola giunse anche alla “giacca a vento
nera” che finalmente raggiunse la “povera bimba disperata”.
- Stasera ti
vengo a prendere io. Ti porto fuori a cena. Andiamo a mangiare la pizza.
- Sei
contenta che ti ho portata qui?
- Mah! avrei
preferito cinese, ma va bene lo stesso.
- Ti devo
parlare... Mi hanno offerto un posto a Milano. Parto tra una settimana.
Rimase lì sconcertata, aspettando il seguito di quella
frase che non arrivava mai. Fino a che non provò lei a dire:
- Bene, sono
contenta, così ti verrò a trovare. Milano non la conosco, è la giusta occasione
per conoscere un ambiente nuovo.
Di nuovo un silenzio imbarazzante. Fino a che
all’improvviso disse:
- Non c’è posto
per te. La mia carriera è più importante ora.
Gli tolse l’impaccio di doversi giustificare, non
disse più una parola. Si alzò e se ne andò.
Dopo quattro anni passati con quell’uomo doveva
ricominciare a colmare quel vuoto che si era creato. Ora nessuno decideva più
per lei. Vagava in attesa di trovare la giusta via da seguire, non aveva più
nessuno che gliela indicasse.
“Ma sì, in fondo
meglio così, sto bene anche da sola, nonostante questa ricerca continua di
qualcosa che non trovo”.
Era il momento di dirlo ai suoi. “Te lo avevamo detto che quella persona non ci piaceva. Chi è causa del
suo mal pianga sé stesso!”. Questa frase era il leitmotiv che la legava
alla vita passata con i suoi. Qualunque cosa le accadesse era sempre colpa sua,
non doveva “piangere sul latte versato”, perché se il latte era caduto per
terra era solo colpa sua e per tale ragione non l’avrebbero mai aiutata a
ripulire. Ma, rifletteva, le avevano mai insegnato come si faceva a non far
cadere il latte? Le dicevano, questo si fa, questo non si fa? Ma come si fanno le cose, mi insegnate? Te la
devi vedere da sola ….. Tutto ciò la fece crescere con forte senso di
insicurezza, con la sensazione di non riuscire a farcela, ma in compenso in
qualche modo, bene o male e a sue spese, riusciva a districarsi in ogni
situazione, sapeva trovare sempre una soluzione e a risolvere i problemi.
In realtà ora era finalmente libera. Frequentava
l’università con più assiduità. Sempre in bilico sulle decisioni da prendere.
Si affidò per un periodo ad un ricercatore a tempo determinato appena arrivato,
che la seguiva in qualità di tutor. Era giovane. Aveva degli occhi profondi che
la scrutavano, occhi che cercavano di capire la natura di quella ragazza, a
tratti piena di sensualità, una sensualità che lo incuriosiva, lo eccitava e a
tratti di una rigidità che non gli permetteva di scalfire neanche un suo
pensiero.
Ma gli piaceva coinvolgerla in ogni attività
extrauniversitaria facesse. Mostre, cinema, passeggiate notturne nella città
deserta, passeggiate in mezzo ai boschi, domeniche al mare, giri immensi in
bicicletta. Lei scoprì di non essere poi così pigra e che le piaceva il mondo e
viverlo. Leggevano gli stessi libri per poi scambiarsi le opinioni in merito.
Litigavano, ridevano, a tratti si odiavano, studiavano, in alcuni periodi si
isolavano, non se lo erano mai detti ma poteva sembrare amore profondo. Mancava
solo il sesso, era inespresso, ma dentro di loro sentivano una forte
eccitazione quando stavano insieme. Le persone che vivono vicino a noi
determinano il nostro essere, non sapremo mai chi siamo veramente.
- Fai domanda
per l’Erasmus finché sei in tempo. Conosco il team di Berlino, sono sicuro che
ti troverai bene.
Il giorno prima di prendere l’aereo gli disse: Domani parto.
- Mi
mancherai da morire. Quando tornerai io non sarò più qui.
Si stabilì a Berlino. La borsa durava 12 mesi. In
fondo nel gruppo non si trovava male, approfondì la lingua tanto da riuscire
alla fine a parlare quasi correntemente il tedesco e approfondì la materia di
studio per la quale aveva scelto proprio quel posto. I contatti con l’Italia
man mano si diradavano, sentiva a mala pena i suoi (a dire il vero non ne
sentiva poi la mancanza), le poche amicizie che le erano rimaste le frequentava
virtualmente su FB. Poche, sentite e rare parole da parte loro da risultare alla
fine quasi inutili. Ma lei continuava a cercare di mantenere quei labili
contatti, perché aveva piacere a farlo anche se si rendeva conto che tutto
rimaneva così sospeso nella virtualità, nessun calore umano, sempre le stesse
parole ripetute continuamente. In fondo quello che le interessava ora era
portare a termine quella borsa di studio in modo eccellente, dare gli esami che
le interessavano e arricchire il suo curriculum. Per poi fare cosa nella sua
vita? Questo non lo sapeva neanche lei.
Dopo qualche mese le arrivò una mail. Era il suo tutor
che aveva lasciato a Roma, che, dopo due mail veloci di saluto appena arrivata
a Berlino, era sparito nel nulla. Ma in fondo lei sapeva non aspettarsi nulla
dalle persone. Questo la rendeva apparentemente arida, ma in realtà rimuginava
in continuazione sui perché e i percome di alcuni comportamenti delle persone
che aveva intorno. Si chiedeva se fosse per colpa sua, per colpa di qualcosa
che aveva detto o fatto, ma spesso risposte non ne trovava. Ma era spesso in
preda a continui sensi di colpa per l’allontanarsi di persone a cui lei teneva.
“Caro amore
mio,
mi sei
mancata e mi manchi ancora. Mi manca tutto ciò che abbiamo fatto insieme, ma mi
manca soprattutto ciò che non abbiamo fatto, che non abbiamo avuto il tempo di
fare, o che forse non abbiamo voluto fare anche se lo volevamo fortemente. Sto
lasciando Roma, il mio tempo qui è terminato. Mi hanno chiamato a Madrid per
una cattedra di Diritto Internazionale, lo stesso tuo corso a Berlino. Tra quindici giorni dovrò essere lì.
Tu come stai?
Sono certo che stai andando avanti come un treno ….
A presto
Un bacio, Fabrizio”
“Mio caro,
come scriveva
Vittorio Alfieri “volli, e volli
sempre, e fortissimamente volli”, nonostante non portammo a compimento
ciò che “volevamo fortemente”. Congratulazioni per Madrid te lo sei meritato.
Non ho tempo
di pensare a come sto, il treno corre troppo veloce.
Baci.
Beatrice”
Domanda difficile a cui rispondere. Come stai? Domanda
di convenzione di cui spesso non si vuole conoscere la risposta, meglio non
chiedere se non si vuole entrare nei meandri di lamentele gratuite. Il “come stai?” sottintende una serie di quesiti.
Come stai fisicamente, come ti trovi in un determinato posto, come stai in
generale. Ma mai, credo mai chi te lo chiede voglia sapere come stai veramente,
che cosa stia succedendo nella tua anima, ciò implica un’attenzione
nell’ascolto difficile da sostenere in questi tempi. Il telefono squilla,
WhatsApp invia notifiche in continuazione, bisogna pur rispondere …. Insomma
non si ha mai il tempo di ascoltare. Allora è più semplice non rispondere a chi
ti fa la domanda o rispondere con un convenzionale: bene, insomma e tu? Non ci
si espone, ci si toglie gratuitamente dall’impaccio.
Lo scambio di mail finì lì. Lei non scrisse più di
tanto per non impelagarsi in intrecci dai quali le sarebbe stato difficile
districarsi. In fondo non vi era alcuna domanda e quindi non era prevista
nessuna risposta.
Passato un po’ di tempo, uscendo dall’aula se lo
ritrovò davanti mentre parlava con i colleghi tedeschi. Sembrava che li
conoscesse proprio bene, ridevano, scherzavano, non le aveva detto di questo
rapporto così stretto tra loro. Quando la vide, non si girò subito verso di
lei, ma voltò solo gli occhi inviandole un cenno impercettibile che solo lei
riconobbe. Si avvicinò per salutarlo, quando i colleghi tedeschi capirono il
rapporto stretto tra i due, cambiarono immediatamente atteggiamento nei suoi
confronti, la accolsero più benevolmente, ciò le aprì nuove strade nel percorso
che stava facendo in quell’Università. Passarono due giorni insieme. Due giorni
di amore, passione, sesso, tutto ciò che non era stato espresso nei loro giorni
a Roma. Era tutto nuovo. Lei entrò in un vortice di sentimenti ai quali non era
abituata, che in realtà non aveva mai provato. Non subiva più passivamente ciò
che la persona di fronte le proponeva, ma era diventata parte attiva e
soprattutto volitiva del gioco. Voleva sperimentare, non aveva più paura, non
si vergognava più, ed era disposta a fare tutto ciò che le venisse chiesto, in
cambio pretendeva che venisse fatto tutto ciò che lei richiedeva! Si sentiva
finalmente libera in questo gioco, come non lo era mai stata. Pensava di non
essere capace di provare queste nuove pulsioni, era convinta che amore e
passione non esistessero, che fossero solo l’invenzione di scrittori troppi
romantici. Scoprì di essere gelosa, una gelosia che la rendeva terribilmente
insicura, una gelosia esternamente inespressa ma che le rodeva l’anima, si
ritrovava irriconoscibile a sé stessa. Mai e poi mai avrebbe pensato di provare
un forte senso d’odio nei confronti di una splendida turista che chiedeva delle
semplici informazioni. Oltretutto lui riceveva continui messaggi e telefonate
alle quali rispondeva sempre e lei stava male perché non aveva il coraggio di
chiedere con chi si scambiasse così tanta “corrispondenza”. A lei normalmente, quando
lo chiamava al cellulare, a mala pena rispondeva e quelle poche volte che
accadeva riceveva brevi risposte di convenzione. Si era innamorata, ma di
quegli innamoramenti passionali senza freni inibitori, che ti rendono capace di
tutto. Ma fino ad un certo punto. Non ebbe il coraggio di fargli delle domande
alle quali avrebbe voluto una risposta. Non gli chiese mai se era solo, neanche
da chi ricevesse quei numerosi messaggi o con chi parlasse in modo così
“gioviale”. L’ultima sera quando uscirono dal ristorante lui si allontanò con
uno “scusa un attimo che risolvo questa questione”, la lasciò da sola in mezzo
alla piazza per mezz’ora ad aspettare che finisse quella interminabile
telefonata. C’erano degli aspetti del suo carattere che detestava in modo
assoluto, ma nonostante tutto non riusciva a fare a meno di lui.
Arrivò il momento della partenza. Lei non lo dava a
vedere ma era disperata, sentiva che non sarebbe riuscita a fare a meno di
quell’unico uomo capace di renderla felice. Ma non ebbe il coraggio di
chiedergli cosa sarebbe stato di loro dopo quel distacco. Aveva paura che
la risposta non corrispondesse al suo
intimo volere. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, su di lui, sulla sua vita,
ma soprattutto cosa pensasse di lei, se l’amava incondizionatamente o se era solamente
una forte passione. Alcune volte è meglio non chiedere, le risposte potrebbero
poi risultare delle lame fendenti. Non chiedeva, ma sentiva dentro di sé, anche
se non riusciva a capire la ragione di questo, che lui a modo suo l’amava
profondamente, ma di certo non come avrebbe voluto lei. Il giorno dopo la
partenza, nonostante mille insicurezze, decise di inviargli un messaggio.
“Ho passato tre
giorni indimenticabili, pieni di passione. Ho provato ciò che mai è passato
nella mia anima, nel mio cuore, un amore incondizionato. Io sono qui, ti
aspetto e ti aspetterò per sempre”. Messaggio che sembrava non meritare una
risposta. I giorni che seguirono rimuginò molto su quel messaggio, “forse non gli è arrivato? Non l’ha letto?
Non ha avuto il tempo di rispondere. Forse non ha voluto rispondere”.
Andava ogni minuto a guardare se per caso le fosse sfuggita la risposta. Si
cominciò a chiedere se avesse fatto bene a mandarlo, forse non avrebbe dovuto.
Ma perché non rispondeva? Domande alle quali non riuscì a darsi una risposta ma
che le resero la vita difficile in quel periodo.
Come si fa a risalire la china sulle sole proprie
forze? Si va avanti, non si pensa, si mette tutto da parte, si seppellisce il
dolore, un giorno poi riverrà su tutto insieme. Quel giorno si vedrà …..
Il gruppo di Berlino non sapeva esattamente cosa ci fosse
tra di loro, erano sicuri che fosse solo un’amicizia legata allo studio e al
culto della materia. Una di loro un giorno parlando si lasciò sfuggire alcuni
dettagli su di lui, di cui lei non sapeva assolutamente nulla. “È stato sposato con una bellissima ragazza,
una nostra collega dell’Università, che appena si rese conto della
inconsistenza emotiva di Fabrizio lo lasciò senza pensarci due volte”. “Che vuoi dire con “inconsistenza emotiva”?
“Gli piacevano, anzi gli piacciono le
donne, troppo, era pieno di amiche. Anche se lei non ebbe mai la certezza di un
suo tradimento, si sentiva umiliata in continuazione. Per questo lei lasciò
l’Università, se ne andò dalla città per un periodo, per poi ritornare,
divorziare, abbandonare completamente la carriera universitaria, risposarsi con
un commercialista ed avere tanti figli e fare la perfetta mamma e casalinga.
Lui partì e non lo rivedemmo più. Fino all’altro giorno”. Faceva fatica a
non far trasparire le fiamme che la stavano divorando in quel momento. “Lei mi ha detto che si sono sentiti in
questi giorni. Lui l’ha chiamata. Sembra solo per sapere come stesse.” Le
venne un senso di nausea che fece davvero fatica a trattenere. Fino ad un
minuto prima pensava che lui fosse venuto a Berlino solo per lei, invece si
rese conto che non era così. Non sapeva
cosa pensare, stava male al pensiero di non essere il suo unico motivo di
passione. Lo odiava, subito dopo ci ripensava e trovava dentro di sé tutte le
scusanti al suo comportamento. Ora si dava una ragione sul perché della mancata
risposta al suo sms, dopo un minuto ribaltava ogni sua congettura e pensiero.
Stava male. Per fortuna aveva terminato tutti gli esami a Berlino e aveva
raccolto il materiale che le sarebbe servito per la tesi di laurea, altrimenti,
per la prima volta nella sua vita non sarebbe stata in grado di gestire le
attività di studio con quella tempesta di sentimenti che la stavano consumando.
Cercava di non pensarci, ma alcune volte sentiva la necessità di avere un
contatto con lui, avrebbe voluto scrivergli, ma la mancata risposta a quell’sms
le bruciava ancora e non avrebbe voluto raddoppiare quella delusione. Intanto,
più durava la sua permanenza a Berlino e più si accumulavano gli aneddoti e le
storie su di lui che le venivano raccontate. Ogni volta si rinnovava il dolore,
perché in realtà le veniva raccontata una persona completamente diversa da
quella che lei pensava di conoscere. Purtroppo si trovò costretta, per
concludere la sua tesi, a scrivergli. Ci pensò tre giorni a come impostare
quella mail. La scriveva, la cancellava, la riscriveva in continuazione.
Avrebbe voluto urlargli la sua rabbia, oppure in altri momenti pensava
necessario scrivergli facendo finta di nulla. Ma una mail informale non
bastava, doveva lasciare un segno per fargli capire che lui c’era sempre e
rimaneva dentro di lei.
“Caro
Fabrizio,
ti allego una
serie di richieste di informazioni a me necessarie per la tesi. Ti sarei grata
se potessi aiutarmi, sono gli ultimi tasselli necessari per terminarla.
E’ da un po’
che non ci sentiamo, non mi hai fatto sapere nulla della tua nuova
sistemazione. Spero di sentirti presto.
Un bacio.
Beatrice”.
“Cara Bea,
ti mando le
informazioni che mi hai richiesto. Mi piacerebbe molto se appena finita potessi
inviarmi la tesi, vorrei tanto leggerla.
Avrei voluto
tanto sentirti molto prima, mi sei mancata.
Un tenero
bacio.
Fabrizio”.
Questa mail la destabilizzò ulteriormente, lui era
sparito e lei avrebbe dovuto farsi sentire? Ma se gli mancava perché non la
cercava? Lasciò cadere la cosa, lo ringraziò affettuosamente e decise di voler
lasciare alle spalle qualcosa che la rendeva insicura e ansiosa.
Lasciò finalmente Berlino. Prese la decisione di
passare da Milano per andare a trovare quell’uomo che l’aveva lasciata
improvvisamente, quell’uomo che aveva determinato il suo essere fino ad un
certo punto della sua vita, quell’uomo per il quale non aveva mai provato
quell’amore profondo che allora non sapeva neanche si potesse provare,
quell’uomo che non le aveva lasciato nulla. Ma in fondo, rimaneva sempre
dell’affetto nei suoi confronti, diciamo “fraterno”.
- Sono felice
che tu sia venuta a trovarmi. Sai in questi due anni il lavoro mi ha preso
molto, ho avuto molto da fare, sono stato molto sotto pressione, per questa
ragione non ho sentito la tua mancanza. Ma ora che ti vedo ti ritrovo diversa,
una luce nuova nei tuoi occhi, una forte carica che non avevi allora. La
permanenza a Berlino ti ha fatto veramente bene!
- Sei solo?
- Sì, sono
solo, non ho avuto il tempo di coltivare nessun rapporto. Qualche storiella
breve, di sesso o di convenienza da parte loro, ma nulla di importante. E tu?
Cosa rispondere? Pensava quale potrebbe essere stata
una giusta risposta, ma purtroppo non la sapeva neanche lei. Nonostante ciò che
accadde, nonostante la sua volontà di allontanarsi, si sentiva profondamente
legata a Fabrizio, esisteva solo lui. Ma in fondo quale era il rapporto che li
legava? Non lo sapeva. Avrebbe voluto dire: “Io invece sto un uomo”, ma così
non fu.
- Sono sola
anche io.
- Ti prego,
riproviamoci. Vieni a vivere a Milano.
- Va bene. Ma
prima del mio trasferimento a Milano lasciami riflettere. Fra pochi mesi dovrò
laurearmi, dopodiché avrò la lucidità necessaria per costruire la mia vita.
Si rimisero insieme, ma con un rapporto a distanza. Ogni
tanto si raggiungevano a vicenda. Ma tutti e due sentivano che qualcosa
mancava. La fiamma era tenue come sempre era stato tra loro due, l’abitudine
era preponderante.
Prima di consegnare definitivamente la tesi la mandò a
Fabrizio per un suo parere.
“Congratulazioni
Bea! Una bellissima tesi! Sarà un successo!
Baci”
Non gli rispose. Le riaffiorarono tutti quei
sentimenti che aveva cercato di seppellire, che aveva provato a metter da
parte, che voleva dimenticare. Ma tutto ritornò vivo come prima. Fabrizio
riprese a essere il maggior e unico pensiero, dal mattino fino a sera,
rimanendo il suo sogno prevalente.
Era in difficoltà non sapeva più quale sarebbe stato
il giusto corso della sua vita.
“Le conferiamo
il titolo di dottore in Giurisprudenza con la votazione di 110 e lode”.
Quel giorno volle che nessuno fosse presente alla
discussione della sua tesi e, comunque, Marco non sarebbe sceso perché aveva
degli impegni di lavoro a Milano. Le avrebbe pesato se qualcuno, soprattutto i
suoi genitori, avessero commentato la sua discussione, visto che avevano sempre
qualcosa di ridire su ogni cosa facesse. Ma, appena uscì dall’aula trovò
Fabrizio.
- Sei stata
bravissima! Eccellente!
In quel momento quel titolo acquisito era l’ultima
cosa che poteva interessarle. Non sapeva che dire, non aveva osato neanche
sperare in una sua presenza, invece era lì, di fronte a lei.
- Ho una
proposta da farti. Stiamo preparando un bando per un dottorato a Madrid. Sono
certo che con le tue capacità sarai in grado di vincerlo.
- Ci penserò.
Cosa intendeva con quella proposta? Perché le aveva
chiesto di partecipare al dottorato a Madrid? Lei si era informata e anche a Milano
c’erano delle buone possibilità, non solo, anche i colleghi di Berlino le
avevano chiesto di tornare a lavorare con loro. Si trovava ad un bivio ed era
tempo di prendere una decisione.
Andare a Berlino sarebbe significato un percorso
lavorativo sicuro, si sarebbe fermata lì e avrebbe fatto sicuramente una importante
carriera universitaria. Milano le avrebbe dato una famiglia, una casa, forse
sarebbe diventata avvocato di grido o forse avrebbe trovato un lavoro che
l’avrebbe in parte soddisfatta. Madrid? E chi lo sa …..
Molti sognano una vita tranquilla. Un amore unico, una
vita a due, una famiglia, una felicità senza apparenti scossoni. Questo era
quello che sognava lei prima di aver incontrato Fabrizio. Almeno pensava.
Altri vivono in perenne lotta con sé stessi e con il
mondo. Quando arriva la felicità, in realtà, è lì tutto che finisce. In
continuo e perenne turbamento. Una sofferenza che si rinnova ogni giorno, per
sé stessi e per coloro che provano a star loro vicino. Quando sembra che ogni
giorno tutto stia per finire, in realtà si riproduce, si rinnova. Tutto ciò li
rende vivi. Questo era quello che provava dopo aver conosciuto Fabrizio. Non
riusciva a trovare, in quella sua anima confusa, il giusto equilibrio e ciò che
avrebbe voluto.
Il bosco man mano si infittiva. Erano meravigliosi
quei pochi raggi solari che riuscivano a passare attraverso quei rami di
conifere. Inebriata da un profumo di muschio misto a resina camminava di buon
passo, ascoltando le note di quella canzone. Lei amava le sonorità di David
Sylvian. In fondo un po’ la rappresentavano: a volte dolci melodie, a volte
dissonanti, a volte stridenti, a volte suadenti accompagnate da una voce che la
distendeva.
Ogni tanto si fermava a raccogliere qualche fragola, o
qualche mirtillo. Quell’atmosfera la faceva sentire in pace con sé stessa, si
era estraniata completamente dal mondo, nonostante la sua anima, la sua mente e
il suo cuore fossero in totale confusione.
All’improvviso, come in un sogno, si trovò di fronte
ad un cerbiatto. Lei si fermò. L’animale era fermo e non era per nulla
spaventato dalla sua presenza, ed era illuminato dai pochi raggi di sole che
oltrepassavano i rami. Rimasero a fissarsi per quasi mezz’ora. In quel tempo
ripercorse tutta la sua vita, le immagini, le sensazioni, le gioie e i dolori
per poi fermarsi, e come se tutto il movimento caotico del suo cervello si arrestasse
all’improvviso e ogni cellula sparisse lasciando la testa completamente vuota,
come se dovesse essere tutto ricostruito in un istante. Un rumore improvviso
causato da una pigna buttata giù da un ramo da uno scoiattolo, ruppe la magia
di quel momento, lei e il cerbiatto si svegliarono improvvisamente da quel
sogno che li aveva avvolti.
“When the poets dreamed of Angels
What did they see?
History lined up in a flash at their backs”
“Grazie,
piccolo bambi, amico mio. Ora so cosa devo fare. È arrivato il tempo di continuare
la mia strada.”
Nessun commento:
Posta un commento