Una testa piena di libri - All around the world

In questa pagina pubblicherò brani tratti dai libri di autori stranieri che ho letto e che ho amato di più o anche meno. Pubblicherò i brani che più mi hanno colpito, emozionato o che assomigliano di più a me, alla mia vita.

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Il senso di una fine (Julian Barnes - 2012)

... dare un senso al modo in cui diamo senso al mondo  

Comprai questo libro non perché conoscessi l'autore ma solo esclusivamente per il titolo, senza conoscerne la trama. Inconsciamente mi ritrovo spesso a dover confrontarmi con testi in cui i protagonisti sono costretti a fare i conti con il proprio passato. Sono attratta da queste storie, forse perché non è facile lasciarsi alle spalle il proprio vissuto, ciò che ci ha reso quel che siamo diventati, che in qualche modo orienta, nostro malgrado, le nostre vite. Il protagonista ha una visione distorta del suo passato, non ricorda esattamente quel che accadde, ma in qualche maniera aveva forgiato, volutamente o meno, i propri ricordi creando un passato che in realtà era diverso da quel che poi gli si è presentato in tarda età. Questo libro mi è piaciuto molto, tanto che comprai a ruota "Livelli di vita", libro altrettanto bello, e "Il pappagallo di Flaubert" che invece non sono riuscita a leggere, abbandonandolo quasi immediatamente. 


Ph Édouard Boubat

"Viviamo nel tempo; il tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in fondo. Non mi riferisco alle varie teorie su curvature e accelerazioni né all'eventuale esistenza di dimensioni parallele di un altrove qualsiasi. No, sto parlando del tempo comune, quotidiano, quello che orologi e cronometri ci assicurano scorra regolarmente: tic tac, tic toc. Esiste al mondo una cosa più ragionevole di una lancetta dei secondi? Ma a insegnarci la malleabilità del tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere.."


"Quanti luoghi comuni ci portiamo appresso con disinvoltura, dico bene? Ad esempio, che il ricordo corrisponda alla somma di evento più tempo trascorso. E invece funziona in modo molto più strano di così: non so più chi ha detto che il ricordo è ciò che pensavamo di aver dimenticato."

"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi."


"Quando si comincia a dimenticare le cose - non mi riferisco all'Alzheimer, ma solo alle prevedibili conseguenze dell'età - si può reagire in vari modi. Ci si può mettere d'impegno e cercare di costringere la memoria a cacciare fuori il nome di quel conoscente, di quel fiore, quella stazione ferroviaria, quell'astronauta...Oppure si può ammettere la propria défaillance e prendere misure pratiche al riguardo, utilizzando testi di consultazione e internet. O più semplicemente, si può lasciar perdere - infischiarsene di ricordare - e scoprire, a volte, che l'elemento smarrito riaffiora magari a distanza di un'ora o di un giorno, spesso nel corso di quelle interminabili notti insonni che la vecchiaia infligge. E' una cosa che impariamo tutti, tutti quelli di noi che dimenticano, intendo."

"Si arriva alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di qualcos'altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi. Ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato?"

“Ma se nostalgia significa il ricordo potente di un'emozione forte, e il rimpianto di non ritrovare più sensazioni del genere nella vita, allora mi dichiaro colpevole."

“Il tempo però... ah, come può trascinarci alla deriva confonderci le idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci 'eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo ci riserva... Il tempo necessario a farci percepire le nostre più salve risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come capricci momentanei."

“All'improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù è la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri."


“Due altre cose ha detto nel corso degli anni: che certe donne non sono affatto misteriose ma vengono rese tali dall'incapacità degli uomini di capirle."
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Livelli di vita (Julian Barnes  - 2013)


“Ogni storia d’amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l’uno, per l’altro. Per tutti e due, qualche volta.”

Ho citato questo libro quando ho parlato de "Il senso di una fine", e quindi mi sembra giusto descriverne almeno l'argomento. Per fare ciò utilizzerò la descrizione che ne ha fatto il sito dell'Einaudi, che mi sembra perfetta e ogni altra parola sarebbe superflua. 

"Questa è una storia d'aria (palloni aerostatici, levità, frontiere) e una storia di terra (zavorre, schermaglie, routine). Ed è una storia di precipizi, di cadute violente e barbari strappi, dopo che due cose sono state unite e nessun dislivello basta a separarle. Questa, in una parola, è un'invincibile storia d'amore."


"Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e si schiantino. Ma a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia. Insieme, in quel primo momento esaltante, con quella sensazione esplosiva di ascesa, esse sono più grandi dei loro sé individuali. Insieme, vedono più lontano, più chiaro. E' ovvio che l'amore può non essere equamente distribuito; anzi forse è raro che lo sia."

"Metti insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia. Sul momento è possibile che la gente non se ne accorga, ma non ha importanza. Il mondo è cambiato lo stesso."

Esistono essenzialmente due tipi di solitudine: quella di chi non ha trovato qualcuno da amare, e quella di chi è stato privato della persona che amava. La prima è peggiore. Niente regge il confronto con la solitudine dell'anima che si prova da adolescenti.

"Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere coi piedi per terra, eppure - e perciò - aspiriamo a elevarci. Da spettatori terragni quali siamo, qualche volta ci è dato di raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno attraverso l'arte, altri con la religione; nove su dieci, con l'amore. Se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi. Ci può succedere di rimbalzare sulla terra, trascinati da una violenza spaccaossa che ci abbatte lungo una linea ferroviaria straniera. Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l'uno per l'altro. Per tutti e due, qualche volta".


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Auður Ava Ólafsdóttir – Hotel Silence (Einaudi 2018)
‘Mi sembra quasi di sentire la voce della mamma: "Ogni sofferenza è unica e differente, - aveva detto una volta, e dunque non la si può confrontare. Invece la felicità è simile".’


Questo libro mi è stato prestato.
Apro la prima pagina e già c’è qualcosa che mi lega a questo romanzo, le prime due parole: 31 maggio.
31 maggio è il giorno del mio compleanno, e quindi ho pensato che era un segnale che mi diceva che io dovevo leggere questo libro.

Il sito dell’Einaudi lo definisce: “Un libro che è un segno di pace, una stretta di mano laica che ci riavvicina a quanto di umano dentro di noi resiste agli orrori del mondo”. Ed è la miglior definizione che poteva dare. E’ una storia sulla rinascita, insieme, anche se colpiti da sofferenze differenti l’uno dalla l’altra, si può rinascere.

E’ la storia di un uomo che ha appena divorziato, con una figlia (che dopo più di vent’anni, al momento del divorzio, scopre non essere sua) e una madre sulla via della demenza. Lui è fondamentalmente depresso e decide di partire per un paese lontano per porre fine alle sue sofferenze. Vende la sua azienda i cui proventi vengono messi sul conto della figlia. Parte con pochissimi effetti personali, pochi vestiti e una cassetta degli attrezzi.

Il Paese lontano ipotizzo sia un paese del medio Oriente appena uscito da una guerra civile (nessun riferimento storico preciso, potrebbe essere qualunque paese appena uscito dalla guerra). L’Hotel Silence è l’unico albergo esistente in quel paesino che stava in quel momento cercando di riprendere la vita normale, nonostante quasi tutti gli uomini erano morti e le donne erano profondamente ferite dalle violenze subite in quegli anni. L’accoglienza da parte alcuni personaggi, anche se inizialmente timida e sospettosa, nonostante la sua reticenza lo fa desistere dal suo intento. Soprattutto dopo aver ascoltato le storie terribili di violenza subite da quel popolo rendendo la propria depressione quasi un piccolo e inutile pretesto alla sua decisione di farla finita.

In fondo lui era andato lì per suicidarsi e la cassetta degli attrezzi gli sarebbe servita per montare un cappio al soffitto, ma quegli stessi attrezzi che dovevano essere d’aiuto alla sua morte, risultarono essere motivo per la sua rinascita e anche di quel Paese.

A me piace la figura della madre, che si trova in un centro per anziani per colpa della sua demenza. Ma è una demenza lucida, che conosce bene i sentimenti profondi del figlio, come quando parlando del più e del meno all’improvviso gli chiede: ma tu sei felice?

Questo dialogo, avvenuto per telefono tra i due è molto significativo e tenero, ogni parola nasconde ogni singolo significato:

Esita:
- Hai detto che stai partendo per un viaggio?
- No
- Hai detto che stai partendo per la guerra?
- No, neanche.
Esita ancora:
- Stai per andare in missione speciale, scricciolino mio?
Missione speciale. Rifletto su questa espressione.
Tipo salvare il mondo, inventare un nuovo vaccino?
- No.
Di nuovo un lungo silenzio, al telefono. Forse sta cercando di ricordare perché ha chiamato.
- Non vuoi vivere, scricciolino mio?
- Non ne sono sicuro.
- Almeno tu hai ancora tutti i capelli.
Le parole mi escono fuori così, senza quasi che io le pensi:
- Godrun Vatnalilja non è mia.
Potrei anche rincarare: non è sangue del mio sangue. […]
Deve alleggerirsi di un ultimo peso:
- Chi è Heidegger? – domanda
Durante il mio primo e unico anno di università non avevo scritto una tesina su Heidegger? Non era lui a sostenere che ogni rapporto degli esseri umani con la realtà dovrebbe germogliare dalla meraviglia del momento? Come succede ai bambini e alle bestie?
- Un filosofo tedesco. Perché me lo chiedi?
- Perché ha chiamato questa mattina e ha chiesto di te.
Gli ho detto che aveva sbagliato numero.

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Che tu sia per me il coltello  (David Grossman - 1999)

Yair nota, in una scuola tra la  folla, Myriam. Yair decide di scriverle una lettera cominciano così un scambio epistolare fino a creare  un vero e proprio rapporto a distanza. Cominceranno a raccontarsi, a conoscersi nel profondo, liberi di ogni pudore, si racconteranno  le loro vite e  le loro emozioni più nascoste, e si scaveranno l’anima come con un coltello. Non sto qui a raccontare quel che accadrà, ma mi ha colpito questo libro e mi è piaciuto moltissimo. Mi ha ricordato quando da giovani ci scrivevamo le lettere e aspettavamo con trepidante attesa che arrivasse nella nostra casella della posta. Ci sceglievamo la carta da lettere (io quasi sempre dei Peanuts), le penne ed era sempre un’emozione scriverle e riceverle, qualunque cosa ci fosse scritta sopra. Ora non si ricevono più le lettere, ma ogni tanto le mail, che spesso risultano essere fredde e senza anima perché scritte in velocità, tra un sms e un altro, un messaggio sui social e un altro,  e oltretutto non si usa più neanche rispondere, perché hanno perso di importanza  sovraccarichi di messaggi monchi e sterili.
Il titolo del libro è tratto da una frase dalle “Lettere a Milena” di Kafka "...amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso".

Ne pubblico alcuni stralci, anche se vorrei pubblicarne quasi tutto il libro.

Ciao Myriam,
da quando ho ricevuto la tua lettera non combino più niente, non ne sono capace.
Non lavoro, non vivo, non faccio che pensare a te.
Lascio ruggire nel mio cuore il tuo nome e se tu fossi qui adesso, ti abbraccerei con tutte le mie forze fino a spezzarci entrambi nell'impeto di quel che provo per te (non temere,sono particolarmente forte).
E prometto di rispondere a tutte le tue domande, ti meriti le risposte più oneste possibili.
Per avermi scritto.
Per aver accettato ! Per non esserti lasciata intimorire dalla pacata lettera di suicidio che ti ho scritto ( e che mi ha lasciato il segno dei denti dentro le guance).
Prima di tutto, però, devo raccontarti come ci siamo veramente incontrati (mi hai risposto ! In un giorno! Non hai riso di questo pazzo che all'improvviso ti è comparso davanti).
[..]
...Vorrei che tu capissi,io parlo solo di lettere, davvero. Non di incontri. Niente corpo, né carne. Non con te. Mi è apparso talmente chiaro dopo la tua lettera. Solo parole.
Perché tutto si rovinerebbe a tu per tu, scivolerebbe subito su strade note, già percorse.
Ovviamente il nostro rapporto dovrà mantenersi nella più completa segretezza, non dovrà essere svelato a nessuno, perché ciò che diciamo non venga rivolto contro di noi.
Solo le mie parole che incontrano le tue, il ritmo lento dei nostri respiri che si uniscono.
(Yair)

«Avevi ragione: in fondo, sto cercando un compagno per un viaggio immaginario. Ma hai sbagliato nel dire che forse non ho bisogno di un compagno reale. E’ esattamente il contrario: ho bisogno di un compagno reale per il mio viaggio immaginario».

"- E cosa c'entriamo noi con la realtà? Che spazio sarebbe disposta a lasciarci? -
Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre storie, e ci crederemo con tutte le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo - dove quello in cui crediamo si realizzerà, anche solo per iscritto - la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora, la nostra vita sarà solo una vita... Sei d'accordo?
Come mi piacerebbe scriverti diversamente. Come mi piacerebbe essere uno che scrive in un altro modo. Le mie parole sono così pesanti. In fondo avrebbe potuto anche essere semplicissimo, no? Come quando si chiede “Dimmi, piccino, dove ti fa male?”, allora chiuderei gli occhi e scriverei in fretta: volesse il cielo che due estranei vincessero l’estraneità.
Ti scrivo soltanto e ne ho già nostalgia. Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un'iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: "Con lei ho stillato verità". Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto.
Ti prego solo di non andartene, perché se te ne vai ora non fai più ritorno. Fuggirai oltre i confini del mondo e non vorrai ricordarti di quello che è iniziato qui, tra me e te, quando l’anima si apre così, lentamente e con dolore, verso un’altra persona. Non smettere di scrivere, aggrappati alla penna con la forza che ti è rimasta. Stai tremando per lo sforzo, ma continua a scrivere, affondando in me le tue radici. Non avere paura. Nemmeno di quel pensiero che hai fatto un milione di anni fa, o due giorni fa, quando avresti voluto risvegliarti senza memoria, dopo un incidente o un intervento chirurgico, ricordando a poco a poco, la tua storia e la mia per raccontarla a te stesso, dall’inizio senza sapere, nemmeno per un momento, se in quella storia tu sei l’uomo o la donna. Vorrei che tu potessi ricordare come ci si sente quando si è donna, e come ci si sente quando non si è né uomo né donna. Solo “essere”, prima di tutto, prima delle definizioni, dei pronomi personali, delle parole e dei generi. Forse in questo modo, potresti anche arrivare, quasi per caso, alla possibilità primordiale di essere me."


“voglio che tu sappia tutto di me, voglio che tu mi conosca nella mia nudità, nei miei piccoli calcoli e nelle mie ansie meschine, nella mia stupidità, nelle mie vergogne e nella mia infamia.”

“Non sai di quante allusioni a te sia pieno il mondo.”

"Vedo un uomo che non è un uomo, e un bambino che non è un bambino. Vedo un uomo la cui maturità e la cui virilità sono come una cicatrice che si è chiusa e indurita sulla ferita del bambino [...] per te la "cicatrice" si è formata esattamente nel punto d'unione tra l'uomo e il bambino, e che questo punto non è vivo in te, senza essere comunque morto."

«Guardo ogni cosa bella due volte. Ho deciso così. Una volta per me e una per te».

"Muoio dalla voglia che avvenga un miracolo e che tu mi compaia davanti per caso".

«Ogni tua parola è caduta esattamente dove era attesa da anni».
«Non ho idea se tu sia interessato a leggere quello che ho da dirti. Comunque, ho continuato a scriverti dentro di me. A dire il vero, questo, senza intenzione, è diventato per me una specie di “diario”. Ho scoperto che se talvolta mi aiuta ad alleviare il dolore, spesso lo acuisce. In un modo o nell’altro considero questa mia volontà di scrivere (e il bisogno, anche, vorrei dire) come un dono straordinario». (Myriam)

'Una volta hai riso dicendo che le mie lettere sono come una matassa. Lo so, sono talmente aggrovigliato che ora, forse, non è più possibile districarmi. Non cerco nemmeno di convincerti a provare, ti chiedo solo di tenere in mano quella matassa per un attimo [...] (Yair)

«Cosa non darei per leggere le lettere perdute di Milena a Kafka. Per vedere cosa gli disse esattamente, con quali parole gli rispose quando lui le scrisse: “Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso.” Spero che lei gli abbia risposto subito, con un telegramma, che è proibito a un essere umano accettare di trasformarsi in coltello per un altro».

Se potessi, ti comprerei una casa grande, enorme, capace di contenere la tua anima, e la riempirei con tutti i tuoi sogni, grandi e piccoli. Tappeti, quadri, libri, e tantissimi soprammobili di ogni dimensione.

"Non è già più un segreto" dici "che esistano tra noi incredibili tratti di somiglianza. A volte li scorgo nelle lettere, sono come dei cavi elettrici, carichi di tensione e di pericolo. Ma tu sai che la somiglianza tra noi è anche in ciò che definisci 'torbidi meandri dell'anima'. E lì, con un'intensità che ancora non conoscevo, potrai forse capire perché voglio avvicinarmi a chi mi rimanda l'eco delle cose che amo meno di me stessa"

Penso alla sinfonia di colori che hai composto. Tu, che per anni non hai osato disegnare, e tantomeno dipingere, l'hai fatto per me con colori che, prima di conoscerti, non ero sicuro che esistessero. Hai parlato di indaco, di ocra, e di blu cobalto, e le parole assumevano mille tonalità.

Quello che intendo dire è che, se solo potessi raccogliere un po' di quelle briciole dell'anima, forse potrei comporle in un mosaico completo e capire finalmente qualcosa, il principio che mi mantiene unito, non credi? Sto parlando di cose che non hanno nome, cose che nel corso della vita si accumulano sul fondo dell'anima, sedimenti e strati di terriccio. Se mi chiedessi di descriverteli, non saprei da che parte cominciare, non avrei le parole adatte. Solo una stretta al cuore, un'ombra passeggera, un sospiro.

«Devo raccontarti come le pupille mi si dilatano quando vedo una tua parola da qualche parte, persino quando mi ci imbatto nel giornale, o nella pubblicità… Ci sono parole che ti appartengono a tal punto! Impronte della tua anima che in bocca ad altri appaiono solo come strumenti discorsivi o articolazioni linguistiche, nient'altro. Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli e i nei».

«Chiedo troppo? Forse, ma perché accontentarsi di poco? Per tutta la vita ci “accontentiamo”, e con te voglio toccare tutto, con gesti ampi e generosi, come se questa fosse l'ultima volta che tocco in vita mia».


«Posso solo sederti accanto e piangere con te, mentre ci domandiamo per l’ennesima volta: perché è così?».

«Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai».

"Come sei entrato nella mia vita? Com’è possibile che fossi così indifesa? E non sei nemmeno entrato da una finestra, o da un lucernario. Sei riuscito a trovare una fessura attraverso la quale mi hai trafitto il cuore". 

"Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un'iniezione di verità per dirla, finalmente, la verità. Si, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto. Un coltello affilato ma misericordioso".

«Avevi ragione: in fondo, sto cercando un compagno per un viaggio immaginario. Ma hai sbagliato nel dire che forse non ho bisogno di un compagno reale. E’ esattamente il contrario: ho bisogno di un compagno reale per il mio viaggio immaginario».


«Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l'anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto».

"Una stella cadente ha attraversato il cielo. Non ho nessun desiderio pronto, hai qualche idea? come hai scritto? - Per aiutarci l'un l'altro a essere tutto quello e tutti coloro che siamo -"

«È il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa saper dove, perché dargli un nome? Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi». 

“Vorrei solo poter restare qui tutta la notte e continuare a scrivere. Scrivere mi fa bene. Lo sento. Anche quando scrivo cose tristi, qualcosa in me si tranquillizza, sento di avere uno scopo.
Voglio rimanere qui e raccontare le cose più semplici. Descrivere la foglia che è appena caduta. O la catasta di sedie in veranda. O le falene attratte dalla lampada. E raccontare ciò che avviene durante la notte finché il buio si tramuta in luce, fino ai cambiamenti di colore. Potrei rimanere qui seduta per giorni e notti a descrivere ogni stelo d'erba, ogni fiore, i sassi del muretto, le pigne. Solo dopo, quando mi sentirò pronta, passerò a scrivere di me. Del mio corpo, per esempio. Comincerò da lui, da ciò che è tangibile. Ma anche con lui partirò da lontano, dalle dita dei piedi, per avvicinarmi piano piano. Descriverò ogni sua parte, ne annoterò le sensazioni, quelle di un tempo e quelle attuali. I ricordi della caviglia, per esempio, o della guancia, o del collo. Perché no? Attraverso le carezze, i baci e le cicatrici. Mantenermi viva con la scrittura. Ci vorrà un sacco di tempo ma ne ho molto a mia disposizione. La vita è lunga e voglio raccontare di me stessa, raccontare quello che probabilmente nessuno mi racconterà mai. La mia storia. Senza aggiunte, ma anche senza detrazioni. Scrivere senza pretendere nulla. Da nessuno. Scrivere solo la mia voce.”

"Prometto che non ti scriverò e che non cercherò di mettermi in contatto con te. Non ti importunerò mai più. A malincuore chiuderò la porta che ti ho aperto con tanta gioia. Ma se per qualche motivo deciderai di tornare da me, devi sapere che in questa fase della mia vita ho bisogno della tua disponibilità più completa e della tua capacità di comprensione più profonda. Ho bisogno che tu fluisca liberamente verso di me, senza alcun ostacolo esterno. Ne ho bisogno come dell'aria che respiro. Se non puoi donarmi tutto questo, non venire. Davvero: non venire. Perché probabilmente mi sono sbagliata sul tuo conto..."


"Perché ti scrivo?
Non sono affatto sicura di saperlo.
Forse perché oggi le nuvole sono più fosche del solito.
Forse perché, per la prima volta da quando sei sparito, mi sento capace di rivolgermi a te e parlarti.
E forse perché mi sembra che, a poco a poco, mi sto avvicinando al punto in cui potrò separarmi da te, o perlomeno dall’attesa dolorosa della tua ricomparsa,senza rinunciare ai sentimenti e alle sensazioni che suscitavi in me.
 "

«Le tue parole emanavano un odore pungente, vivo. Un odore di terra, di polline, e di sudore. Sei splendida quando gioisci, quando ti rotoli nei campi di papaveri o mi getti addosso le spighe dell’avena. Un’antemide bianca e gialla ti si è impigliata fra i capelli e per un momento ho provato una fitta di infelicità perché non potevo togliertela e nemmeno farti da “scaletta” con le mani perché potessi arrampicarti sulle terrazze. E i graffi che non mi sono fatto, le punture che non mi sono preso, il tuo sudore che non ho leccato. Ti scrivo soltanto e ne ho già nostalgia». 
“Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.” 

«Immagina un po’. Come vorrei poter stare con te, ora, in un luogo qualsiasi, non importa dove. Un posto dove la gente si incontra così, per caso. Ai giardini pubblici, in ufficio, per strada, dove vuoi tu. Dove la tua anima si sente appagata solo per il fatto di trovarsi lì. Senza dire nemmeno una parola».
“Bisognerebbe chiarire una volta per tutte perché "un momento brutto" può andare avanti per mesi, mentre un momento di grazia dura sempre e soltanto un momento.” 

È una legge non scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Sono convinto che da qualche parte, dentro me, c'è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola. 


Ma fuori è silenzio già da qualche minuto. Non si muove una foglia e io ho paura di sollevare la penna. Sento i tuoi occhi sospesi sulle mie labbra. Cosa vuoi che dica? cosa potrei dire che ancora non ho detto? E cos'altro rimane da dire, a parole? ... Se mi rimane un altro desiderio voglio, chiedo, che quelle migliaia di parole diventino corpo ....
(Myriam)





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Treno di notte per Lisbona (Pascal Mercier - 2008)

Uno dei libri più belli che abbia mai letto, sarà perché ambientato a Lisbona, sarà perché Amadeu Inácio de Almeida Prado è una figura molto affascinante, da diventare quasi un mito per me, in questi periodi in cui di miti non ne abbiamo più.
Dal libro ne è stato tratto un film con la regia di Billie August, che non raggiunge la bellezza del libro che in realtà è molto complesso. 

"Quando si tratta dell'anima c'è ben poco che si possa afferrare con mano ..."

"Riducendo le proprie aspettative, si potrebbe nutrire la speranza di diventare più realistici; [...] diventando così immuni dal dolore della disillusione. 
Ma cosa vorrebbe dire una vita che si vietasse ogni aspettativa di ampio respiro, ogni sconfinatezza, una vita in cui vi fossero solo aspettative banali come quella che arrivi l'autobus?"

"Credevo davvero che non ci saremmo persi mai.
Mi sembrava impossibile. Una volta ho letto da qualche parte: le amicizie fanno il loro tempo e finiscono. Non nel nostro caso, pensai allora, non nel nostro caso".


"Il flusso dei pensieri, delle immagini e dei sentimenti da cui in ogni momento siamo attraversati, questa corrente rapinosa ha una tale violenza che sarebbe un miracolo se non spazzasse letteralmente via e non consegnasse all'oblio tutte le parole che l'altro ci dice, a meno che per puro caso, per puro accidente, non collimino con le nostre parole..."
"La nostra vita non è altro che effimere formazioni di sabbie mobili, adunate da una raffica di vento, distrutte dalla successiva. Creazioni inconsistenti che si disperdono prima ancora di aver finito di formarsi".

"La vita non è ciò che viviamo ma è ciò che immaginiamo di vivere" (Amadeu de Prado)

Il vero regista della nostra vita è il caso, un regista traboccante crudeltà, misericordia e accattivante incanto.


"Desiderio, patetico desiderio simile a un sogno, di trovarmi ancora in quel punto della mia vita e di poter imboccare tutt'altra direzione rispetto a quella che ha fatto di me ciò che ora sono...sedere sul muschio caldo che ricopriva i gradini e tenere fra le mani il berretto: è l'assurdo desiderio di compiere un viaggio a ritroso nel tempo che è alle mie spalle e di portare tuttavia con me in questo viaggio il me stesso segnato da quanto è accaduto".


"Perché attraverso le nostre parole non ci riveliamo soltanto, ma ci tradiamo. Lasciamo intravedere molto di più di quanto era nostra intenzione rivelare e talvolta avviene l’esatto contrario. Gli altri allora possono interpretare le nostra parole come sintomi di qualcosa che forse noi stessi ignoriamo. Come sintomi della malattia che noi siamo".


"Gli incontri fra esseri umani, mi è capitato spesso di pensare, sono come l'incrociarsi di treni che sfrecciano insensatamente nel cuore della notte. Lanciano incessanti, fuggevoli occhiate agli altri che nella luce crepuscolare siedono dietro i vetri opachi dei finestrini e scompaiono dal nostro campo visivo non appena abbiamo avuto il tempo di percepirli".


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Kafka sulla spiaggia (Murakami Haruki - 2008)

"Nessuno mi aiuta. Perlomeno, finora non mi ha mai aiutato nessuno. Ho sempre dovuto contare unicamente su me stesso. Perciò è necessario che io sia forte. Come un corvo smarrito. E' per questo che ho scelto di chiamarmi Kafka. In ceco kafka significa corvo." 


Ph Abdullah G. Alfoudry

Un ragazzo di quindici anni maturo e determinato, forse troppo maturo, da essere quasi “irreale”. Un anziano rimasto, per colpa di un misterioso incidente durante la guerra, bambino, apparentemente stupido ma con dei “poteri irreali”. In effetti il libro ha qualcosa di irreale e fantastico. Storie al limite dell’impossibile. L’anziano Nakata capace di sentire le parole dei gatti e di percepire poteri e situazioni. Due storie apparentemente parallele ma strettamente legate dalla figura del malefico Johnnie Walker (personaggio talmente crudele da strappare il cuore ai gatti ancora vivi per rubarne l’anima). Due personaggi che viaggiano per mete sconosciute, ma con la netta sensazione che dovevano andare lì e proprio lì, senza sapere apparentemente il perché. Incontrano sulle loro strade figure profetiche che li guideranno in situazioni al limite del verosimile. Per capire le situazioni di questo libro bisogna leggerlo tutto, perché vengono buttati lì indizi apparentemente senza importanza e ai quali, nello sciogliersi della vicenda, si riesce a dare un senso. Il mistero di Edipo incombe sulla testa del ragazzo, sempre accompagnato da un alter ego, un ragazzo chiamato Corvo, che lo guida e lo consiglia e lo abbandona. Anche se sempre vicino ad altre figure, in realtà sia il giovane che il vecchio vivono in una profonda solitudine. Sono soli al mondo, nonostante le figure, anch’esse profondamente sole, che incontrano nel cammino, senza ragione, senza un perché e senza un tornaconto le accompagnano e le aiutano nella loro vita.

«Amare è così, caro Tamura Kafka. Sei solo tu a provare quelle sensazioni così belle da togliere il fiato, e solo tu a vagare nelle tenebre più fitte. Tocca a te sostenere questo peso col tuo corpo e la tua anima».

«Non è permesso chiudere gli occhi. Tanto, non serve a migliorare nulla. Non è che chiudendo gli occhi si spenga qualcosa. Anzi, se lo fai, quando li riaprirai nel frattempo le cose saranno decisamente peggiorate. Questo è il mondo in cui viviamo, Nakata. Devi tenere gli occhi bene aperti. Chiudere gli occhi è da rammolliti. Evitare di guardare in faccia la realtà è da codardi. Mentre tu tieni gli occhi chiusi e ti tappi le orecchie, il tempo avanza. Tic-toc-tic-toc. Oggi è lunedì, e siamo chiusi. La biblioteca, che persino nei giorni di apertura è tranquilla, in quelli di chiusura lo è forse anche troppo. Sembra un luogo dimenticato dal tempo. O meglio ancora, un luogo che trattiene il respiro, sperando che il tempo non si accorga della sua esistenza».

«- Signor Hoshino, - disse a un tratto Nakata.
- Sì?
- Che bella cosa il mare, non trova?
- Sì, guardarlo dà un senso di pace.
- Già, chissà perché…
- Forse perché è così grande e vuoto, - disse Hoshino […] La cosa bella è che ovunque arriva lo sguardo, non trovi niente».

«Anch'io, quando avevo la tua età, sognavo sempre di andare in un mondo a parte, - dice la signora Saeki sorridendo. - Un posto al di fuori del tempo, dove nessuno avrebbe potuto raggiungermi. - Ma un posto del genere non esiste. - Infatti, non esiste. Per questo vivo così. In un mondo dove tutto si danneggia, il cuore si consuma, e il tempo scorre senza un attimo di tregua. - Tace per qualche istante, come a suggerire con quella pausa il fluire silenzioso del tempo. Poi riprende: - Ma quando avevo quindici anni, pensavo invece che quel posto esistesse. Che da qualche parte fosse possibile trovare l'entrata per quel mondo speciale. - Lei era molto sola, quando aveva quindici anni? - In un certo senso sì. Ero sola. Intorno a me c'erano delle persone, ma mi sentivo terribilmente sola. Perché sapevo che non avrei mai potuto essere più felice di com'ero. Ne ero assolutamente certa, e quindi avrei voluto entrare in un luogo dove il tempo non scorresse»

«Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l'andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell'alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l'unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro.(...)Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia»

«In ogni storia a un certo punto arriva una grande svolta. Uno sviluppo imprevisto. La felicità è sempre uguale, ma l'infelicità può avere infinite variazioni, come ha detto anche Tolstoj. La felicità è una fiaba, l'infelicità un romanzo».

«Resto lì a lungo, la mano appoggiata al bordo della finestra, a fissare il punto in cui è sparita. Magari potrebbe accorgersi di aver dimenticato di dirmi qualcosa, e tornare indietro. Ma non torna. In quel punto rimane solo una specie di cavità invisibile che ha la forma della sua assenza».

«Però, Kafka, ricordati bene una cosa. Anche quelli che allora uccisero il ragazzo della signora Saeki erano gente così. Gente priva di immaginazione, intollerante, senza orizzonti. Gente che vive una realtà fatta di convinzioni tutte sue, slogan vuoti, ideali orecchiati qua e là, sistemi rigidi. Sono queste le persone che a me fanno davvero paura. Le temo e le disprezzo. Naturalmente, anche capire ciò che è giusto e sbagliato è importante. Ma nella maggior parte dei casi, ognuno col tempo può correggere i propri errori, il più delle volte è possibile rimediare. Ma la ristrettezza di vedute, la rigidità di chi è privo di immaginazione ha un natura simile a quella dei parassiti. Si trasferiscono da un organismo all'altro, mutano di forma e continuano a vivere e proliferare. Sono casi senza speranza».

«Ho anche letto diversi Suoi libri, apprezzando infinitamente la profondità delle Sue intuizioni e la vastità delle Sue conoscenze. Nella Sua visione del mondo, elaborata con tanta coerenza, secondo la quale la vita umana è caratterizzata da un'estrema solitudine, ma in cui tutti siamo collegati dalla memoria archetipica, vi è qualcosa che mi trova intimamente concorde, perché io stessa nel corso dell'esistenza ho provato tante volte questa sensazione. Le auguro con tutto il cuore di proseguire nelle Sue ricerche con sempre maggiore successo».

«Ma il tempo scorre e non si sente. Nel cielo notturno, trasportate dal vento, arrivano e passano le nuvole. I rami del corniolo tremano, e infinite lame sottili brillano nelle tenebre. La finestra e la porta della stanza sono la finestra e la porta della mia anima. Resto così fino all'alba, senza addormentarmi. Guardando all'infinito quella sedia, dove adesso non è seduto nessuno»

«Mi tolgo le cuffie e ascolto il silenzio.
Il silenzio è una cosa che si ascolta.
Lo scopro per la prima volta»

«Guardare troppo lontano è un errore. Se uno guarda lontano, non vede quello che ha davanti ai piedi, e finisce per inciampare. Ma anche concentrarsi troppo sui piccoli dettagli che si hanno sotto il naso non va bene. Se non si guarda un po' oltre, si va a sbattere contro qualcosa. Perciò è meglio sbrigare le proprie faccende guardando davanti a sé quanto basta, e seguendo l'ordine stabilito passo dopo passo. Questo, in tutte le cose, è il punto fondamentale».

"Quello che cerco...- spiego, - la forza che cerco non ha a che vedere col vincere o perdere. Non voglio un muro per respingere la forza che viene dall'esterno. Quello che voglio è la forza per ricevere gli assalti che arrivano, e sopportarli. L'ingiustizia, la sfortuna, la tristezza, i malintesi, le incomprensioni...Voglio la forza per sopportare tranquillamente tutte queste cose."


"Tutti perdiamo continuamente tante cose importanti.
Occasioni preziose, possibilità, emozioni irripetibili. Vivere significa anche questo.
Ma ognuno di noi nella propria testa - sì, io immagino che sia nella testa - ha una piccola stanza dove può conservare tutte queste cose in forma di ricordi". 

«Se tu ti ricordassi di me, non mi importerebbe nulla neanche se tutti gli altri mi dimenticassero». 

- Sei innamorato, - dice.
- Sì.
- Quindi ogni giorno, ogni volta, il viso, l'immagine della ragazza che ami ti appaiono speciali e preziosi.
- Sì, e so di poterli perdere da un momento all'altro.


Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.



(pubblicato il 4 novembre 2015)

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La tregua (Mario Benedetti – 1960 - ristampa 2014)

«È evidente che Dio mi ha riservato un destino oscuro. Non proprio crudele. Semplicemente oscuro. È evidente anche che mi ha concesso una tregua. All’inizio, ho riluttato a credere che potesse essere la felicità. Mi sono opposto con tutte le mie forze, poi mi sono dato per vinto, e l’ho creduto. Ma non era la felicità, era solo una tregua»




Una mia amica mi ha consigliato di leggere questo libro. Io e lei abbiamo in comune una cosa e cioè che viviamo i libri che ci toccano in modo particolare, in prima persona. Cerchiamo in ogni parola qualcosa di noi, qualcosa che ci aiuti a trovare delle risposte o ad aiutarci a vedere il mondo in un’altra prospettiva. Questo libro le era stato suggerito da un libraio che, conoscendo la sua storia personale molto dolorosa (che è in parte comune a questo libro), riteneva potesse aiutarla a superare un periodo difficile.

Mario Benedetti era uno scrittore e poeta uruguayano, il racconto stesso uscito per la prima volta nel 1960 è ambientato a Montevideo.

La struttura è quella di un diario che copre circa un anno (dall’11 febbraio al 28 febbraio del 1959) della vita di un impiegato (vedovo con tre figli) di un’azienda di Montevideo di 49 anni, prossimo alla pensione. Ora a 49 anni ci si definisce ancora ragazzi in cerca di un futuro, Santomé invece scrive “Quando andrò in pensione, può darsi che il meglio per me sia abbandonarmi all’ozio, a una specie di sonnolenza compensatrice, in modo che i nervi, i muscoli, la forza si rilassino a poco a poco e si abituino a una buona morte” e il giorno del suo cinquantesimo compleanno scrive: “Oggi compio cinquant’anni. In altre parole, da oggi posso andare in pensione. Un momento che sembra propizio ai bilanci. Ma io di bilanci, ne ho fatti tutto l’anno. Detesto gli anniversari, le gioie e le pene a scadenza fissa”.

Il rapporto con i figli soffre di quello scontro generazionale tipico in ogni periodo storico “Provo l’orribile sensazione che il tempo passi e che io non faccia niente, che non accada niente e mi tocchi davvero. Guardo Esteban e guardo Jaime, e ho la certezza che anche loro siano infelici. A volte (non arrabbiarti papà), guardo anche te e penso che non vorrei arrivare a cinquant’anni e avere il tuo carattere, il tuo equilibrio, semplicemente perché li trovo piatti, logori. Sento in me una grande riserva di energia, e non so come impiegarla, che farmene. Credo che tu ti sia rassegnato a essere grigio, e questo mi sembra orribile, perché so che non lo sei. Per lo meno che non lo eri”. Ma la storia riserva delle sorprese riguardo questo aspetto.

Invece in quegli ultimi mesi prossimi alla pensione qualcosa di stravolgente accade, si chiama Avellaneda (“C’è in Avellaneda qualcosa che mi attrae. E’ evidente: ma che cosa?”) ed ha l’età di sua figlia, che lo porta a pianificare e ad avere una visione nuova dei mesi che verranno.

A questa novità ci si avvicinano ambedue in punta di piedi, per poi trovarsi in un mondo nascosto tutto loro in cui inizialmente nessuno entra, “La soluzione che abbiamo optato è quella dell’assoluta libertà. Conoscerci e vedere che succede, lasciar fare al tempo e tornare sulla questione. Nessun laccio, nessun impegno. E’ meravigliosa”.

Le sono andato vicino, io pure sono stato a guardare come pioveva, per un po’ non ci siamo detti nulla. Poi all’improvviso, ho avuto coscienza che quel momento, quel frammento di quotidianità, era il grado massimo del benessere, la Felicità. Mai ero stato tanto pienamente felice come in quel momento, tuttavia avevo la dolorosa sensazione che mai più lo sarei stato, almeno con quella forza, con quell’intensità. L’apice è così, esattamente così. Come se non bastasse, sono certo che l’apice duri solo un secondo, un breve istante, la durata di un lampo, e non si ha diritto a proroghe”.

Che progressi, mio Dio! Né lei né io l’abbiamo detto ma, dopo questa giornata, c’è un punto fermo. Ci penserò domani. Ora sono stanco. E potrei anche dire: felice. Ma sono troppo sul chi vive per sentirmi perfettamente felice. Sul chi vive nei miei confronti, nei confronti della sorte e di quell’unico futuro tangibile che nome domani. Sul chi vive vuol dire: diffidente.” … e non aveva tutti i torti nel pensarlo, la sorte riserva loro un brutto scherzo …. “... Ma non era la felicità, era solo una tregua. Adesso, sono nuovamente preso nel mio destino. Ed è più oscuro di prima, assai più oscuro”.

La tregua, tutti vorremmo una tregua, quel momento felicità che ci renda vivi anche solo per un attimo.
(pubblicato il 26 aprile 2018)
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Dolore (Zeruya Shalev - 2015)

…. sai le persone cambiano, soprattutto le madri.



Zeruya Shalev è tra gli autori più importanti in Israele insieme a Grossman e Amos OZ. Io non ho letto nulla di Oz e quindi non so, ma sicuramente trovo una grande vicinanza a Grossman; trovo in “Dolore” immagini, luoghi e molte similitudini caratteriali dei personaggi, ma anche nel modo di narrare con “Che tu sia per me il coltello”, “Col corpo capisco” e “Applausi a scena vuota”. Comunque posseggono un metodo di scrittura diverso, Grossman è più articolato, bisogna avere tempo e attenzione per leggerlo, non ci si può distrarre, ogni parola persa può far perdere il filo della storia, lo stile narrativo della Shakev è più “morbido” ma, secondo me, è fortemente ispirato a lui,

“Dolore" è la storia di una donna, Iris, di 45 anni, preside di una scuola, un amore doloroso finito improvvisamente trent’anni prima, salvata miracolosamente da un attentato che l’ha lasciata con un fisico dilaniato (si imbottisce di antidolorifici) e un’anima distrutta dal dolore. Questi dolori influiscono sulla sua vita e di conseguenza su quella della sua famiglia. Tutto il dolore ritorna il giorno in cui il marito le ricorda l’anniversario dell’attentato, un attentato che travolse non solo il fisico di Iris ma tutta la famiglia. In quel giorno incontra, dopo trent’anni, in una visita medica, Eitan che non aveva mai smesso di amare nonostante tutto il dolore che le provocò abbandonandola improvvisamente dopo la morte della madre.

“Come fai ad essere così drastica?” protesta di nuovo, “ci sono tanti amori tardivi che funzionano è pieno di uomini e donne che mandano a catafascio le loro famiglie per molto meno di quello che ho io. Ma lo capisci o no, che razza d’amore è? E’ l’amore più profondo che c’è, un legame morto e improvvisamente risorto. Immaginati di ritrovare uno che eri sicura che fosse morto, per il quale hai portato il lutto per anni, lo capisci che miracolo è”.

Si accorsero che nulla era cambiato, ma la situazione familiare, un rapporto triste con il marito …

“Lei aveva spostato quel ragazzo corpulento che si era attaccato a lei con un senso profondo di comunanza di destino e gratitudine. Lei si sentiva troppo ferita per innamorarsi e perciò non gliene aveva dato occasione, peggio ancora, non aveva mai voluta dargli quella occasione. Non c’è da stupirsi se ha cercato di trovare amore altrove, in un altro momento, purtroppo proprio in un momento in cui per le strade della loro città giravano persone che si trasformavano in bombe e cercavano di far morire con sé più gente possibile, fra cui anche lei”.


e due figli carichi di sensi di colpa ed in cerca di identità,

“E basta con questa gara ridicola!” sbotta lei, “lo sai, non ti credo affatto! Ti fa comodo negare per non affrontare la faccenda! Preferisci giovare a scacchi con gente che non vedrai mai piuttosto che misurarti con il problema di tua figlia. Quando dici che ti fidi di lei in fondo dici che non te ne frega niente, che vuoi essere lasciato in pace. Sarà pure lecito, ma quanto meno non avere questo atteggiamento di superiorità con me!”

“Avrà ragione lui, che lei conosce i suoi allievi più di quanto non conosca sua figlia?”

“I ragazzi in fondo sono cresciuti, e con loro anche le frustrazioni, le rabbie, le rimostranze, i conti, le delusioni. Solo l’amore non è cresciuto, e per questo anche se non si è ridotto nel contesto generale occupa meno spazio di prima. Se almeno sapessimo amare così come sappiamo arrabbiarci, o proporzionalmente a come siamo bravi a litigare, se sapessimo provare e procurare piacere così come siamo bravi a torturarci. A quanto pare con gli anni si perfeziona il talento nell’offesa mentre quello opposto si ridimensiona”.

non rendono facile l’essersi ritrovati dopo tanti anni.

“In mezzo ci sono Michi, i figli e il lavoro, in mezzo c’è tutto quello che ha costruito nella sua vita da adulta, che ora le sembra insulso, pallido surrogato del vero senso della sua vita, perché ora che lui è tornato le è chiaro che lui è tornato dalla ragazza che lei era, la ragazza che aveva sperato in questo miracolo notte e giorno, sul letto di sua madre: ma è finita, che non puoi vivere senza di me così come io non posso vivere senza di te. Noi siamo una coppia sin dall’inizio del mondo, come la sabbia e il mare, come il lampo e il tuono, la nuvola e la pioggia, la freccia e l’arco, come la voce e l’eco”.

Questo dialogo tra madre e figlia potrebbe racchiudere il finale della storia.

“Hai ragione, non fa parte della realtà,” mormora Iris scegliendo con attenzione le parole, dopo che è stata colta in fallo, “è una specie di fuga dalla realtà,” e Alma dice, “che c’è di male nella fuga”, e sua madre esita una attimo prima di rispondere, “quando si scappa non è mai libertà.”
“Ma come la metti con l’amore?”, Alma chissà perché insiste, strano che si interessi così, strano che non si identifichi come al solito con suo padre, e Iris dice, “l’amore ha molte facce, a volte è staccato dalla vita, è come un aquilone senza filo, lo sai che vola in cielo ma non ci provi a prenderlo per non rovinare altre cose che sono più importanti per te”, e Alma sospira, “ohi, mamma, che tristezza,” e Iris risponde seccamente, “ho visto cose più tristi nella vita”.


(pubblicato il 17 novembre 2017)


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A sud del confine, a ovest del sole (Murakami Haruki - 1992)

“Non avrebbe dovuto dirmi che forse sarebbe tornata. Le promesse, seppur vaghe, rimangono per sempre scolpite nell’animo.”


Ph Eve Arnold 


Cosa succede quando all'improvviso nel pieno della sua vita, quando crede di aver raggiunto la completezza familiare e lavorativa, nel suo locale notturno ricompare colei che è sempre rimasta nel suo cuore da quando erano piccoli? Si apre un mondo interiore di ricordi. Cosa succede quando, dopo averla ritrovata lei compare, scompare, ritorna? Cerca di capire i suoi "quando potrò verrò". Ma, nonostante tutto, continua ad amarla e lei ad amare lui .... 

"Iniziai a diradare le mie visite e finimmo per non vederci più. Forse fu un errore. Dico forse perché, quando si analizza l’enorme mole di ricordi del passato, è difficile distinguere le decisioni giuste da quelle sbagliate. Avrei dovuto sforzarmi di coltivare la nostra amicizia anche dopo. Avevo bisogno di lei e lei, forse, di me. Ma ero troppo orgoglioso e temevo di essere ferito. Fu così che decisi di non vederla più. Fino a molti anni dopo."

"Allora non potevo saperlo, ma un giorno l'avrei ferita profondamente e in modo irreparabile. Gli esseri umani, a volte, sono destinati, solo per il solo fatto di esistere, a fare del male a qualcuno"

"quando ti guardo, a volte mi sembra di vedere una stella lontana, ... Sembra che brilli, ma è una luce di decine di migliaia di anni fa. Forse è la luce di un astro che ora non esiste più, ma a volte sembra più reale di tutto il resto"

"Quella non sembrava la "mia" vita, mi dicevo, era come se qualcuno l'avesse preparata per me. Fino a che punto ero veramente me stesso? E fino a che punto non lo ero? Anche la mano che impugnava il volante in quel momento, fino a che punto era davvero la mia mano? e il paesaggio che mi circondava, fino a che punto era reale? Più ci pensavo, meno riuscivo a darmi una risposta. Eppure mi pareva di essere abbastanza felice. Non avevo particolare motivi di insoddisfazione. Mia moglie era una donna dolce e assennata e io la amavo."

“A giudicare da questa foto, dovevi essere felice,” le dissi.

Shimamoto scosse lentamente la testa. Attorno agli occhi le si formarono delle piccole e graziose rughe e sembrava che stesse riandando col pensiero a una scena di un lontano passato. “Sai, Hajime,” disse, “dalle foto non si capisce nulla. Non sono che ombra. La vera me stessa era da un’altra parte, in un posto che l’obiettivo non può riprendere.”

Quella fotografia mi rese profondamente triste. Guardandola mi accorsi di quanto tempo avessi perso fino ad allora. Anni preziosi, esistiti solo in quel momento e in quel luogo e che, nonostante i miei sforzi, non sarebbero mai più tornati. Rimasi a lungo a fissare quella fotografia.

"Le illusioni di un tempo non mi avrebbero più aiutato, non avrebbero più creato sogni per me. Non rimaneva che il vuoto, quel semplice vuoto che mi aveva accompagnato per anni e al quale avevo cercato di adattarmi. Ero tornato al punto di partenza, pensai, e dovevo abituarmici. Adesso toccava a me creare sogni per gli altri, sarebbe stato questo il mio nuovo compito. Non conoscevo il potere di questi sogni, ma se la mia vita aveva un significato, era quello di continuare con tutte la mie forze quest'opera. Forse."

"La nostra memoria e le nostre sensazioni sono troppo incerte e unilaterali e quindi, per trovare la veridicità di alcuni fatti, ci basiamo su una "certa realtà". Ma quella che per noi è la realtà, fino a che punto lo è davvero e fino a che punto è quella che noi percepiamo come tale? Spesso è addirittura impossibile distinguere tra le due. Quindi per ancorare nella nostra mente la realtà e provare che sia tale, abbiamo bisogno di un'altra realtà attigua che possa relativizzare la prima. Questa realtà attigua, però, necessita come base, a sua volta, di una terza. Questa catena all'interno della nostra coscienza continua all'infinito ed è proprio grazie ad essa che noi esistiamo. A un certo punto, però, può accadere che la catena si spezzi e si faccia confondere: non capiamo più se la realtà si trovi da questa parte della catena o dall'altra."

"Hajime. ascoltami bene, - disse Shimamoto dopo una lunga pausa di silenzio. - E' molto importante e quindi ascoltami bene. Come ti dicevo prima, io non conosco mezze misure. Perciò o mi prendi così come sono o rinunci a me, non c'è altra scelta. E' fondamentale che tu capisca questo. Se sei disposto ad accettarlo, per me va bene. Io stessa non so fino a quando potremo andare avanti così, ma farò di tutto perché possa durare a lungo. Quando potrò, verrò. Quando non potrò, non verrò. Vorrei che fosse chiaro che non mi è possibile vederti tutte le volte che desidero. Forse non ti piacerà, ma se veramente non vuoi che io vada più via, non puoi far altro che prendermi così come sono e accettare tutto, ma proprio tutto quello che c'è in me. E anch'io prenderò tutto di te. Tutto. Capisci? Capisci bene cosa significa?"


(pubblicato il 3 settembre 2015)
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