La Casa (La mia penna)

Racconto selezionato tra i finalisti 
Concorso letterario Scrivendo 2019
pubblicato nella raccolta



La casa 
di Francesca Cammisa 


Quando decidi di partire per un viaggio inizialmente vieni preso dalla gioia e dalla frenesia della partenza. Controlli ogni piccolo particolare, l’itinerario, i mezzi di trasporto, gli alberghi, i monumenti, i ristoranti. Almeno una settimana prima consulti tutti i siti meteo per decidere quali vestiti portare e, considerata l’attendibilità e la mutabilità delle previsioni del tempo, fai e disfai mille volte quella valigia. L’eccitazione sale, tanto da rendere insonne la notte prima della partenza. Ti alzi, ti prepari, ti comincia a salire l’ansia, metti in valigia le ultime cose, i libri, controlli i documenti, i soldi, le borse, le medicine (che non si sa mai), il carica batteria del cellulare e cominci a chiudere il gas, le tapparelle e quell’ansia che ti ha accompagnato per tutta la mattina comincia a trasformarsi in nostalgia. Non hai ancora lasciato quella casa e la guardi in ogni particolare e pensi: quando tornerò dal mio viaggio sarà ancora così? Se si allaga? Se vengono i ladri? Cominci a nascondere quelle poche cose, che in fondo non sono così poche, anche di poco valore, a cui sei affezionato. Ancora non esci da quella casa ed un senso di tristezza ti assale, chiedendoti se poi quel viaggio ti va davvero di farlo. Ma ormai è tardi per farsi prendere dalle malinconie. Si esce, si chiude la porta a doppia mandata e via, è tempo di andare.

Quando ritorni ed entri da quella porta, pensi: finalmente a casa, finalmente ritorno alle mie abitudini, il mio letto, il mio bagno, il mio frigo, le mie cose, le mie foto, la mia radio, i miei dischi, i miei libri, i miei oggetti inutili che custodisco gelosamente. I miei cassetti pieni di cianfrusaglie, di bigliettini inutili, di lettere di trent’anni prima che sembrano ormai dimenticate. Ritorni con la voglia di voler rimettere tutto a posto, di buttare l’inutile ma non lo fai mai, rimane sempre tutto lì a raccogliere polvere. Rimetti a posto i libri che ti eri portato e che non sei riuscito a leggere, i vestiti che non hai mai messo (sai bene di portartene sempre troppi) e ti fermi a godere della tua casa.

Sandro, dopo un anno in cui aveva cominciato a lavorare nella multinazionale, comprò una piccola casa in un comprensorio poco fuori città vicino alla sede di lavoro. Decise di comprarla proprio lì, un posto che era quasi campagna ma a due passi dalla città, vicino ad un bosco dove poter andare a camminare in solitudine di domenica, perché gli altri giorni viveva chiuso dentro quel palazzone circondato da finestroni almeno per dieci ore al giorno. Da lassù, da quelle finestre riusciva a scorgere tutta la campagna che circondava la piccola città e unica ragione per resistere così tanto tempo chiuso lì dentro. Ma soprattutto da quel finestrone poteva vedere la sua casa in lontananza e questa cosa gli dava sicurezza.

Seguì passo passo la ristrutturazione della sua casa, utilizzando pitture e materiale ecologico. La arredò nei minimi particolari con mobili ecosostenibili e la riempì con tutto ciò che amava, libri, dischi, oggetti provenienti dai suoi viaggi. Sembrava apparentemente disordinata, invece ogni singolo oggetto che sembrava fuori posto raccontava la sua personalità esplosiva, nulla a che fare con quelle case minimaliste ordinate e precise, vuote, terribilmente fredde e prive di personalità!

Dopo dieci anni che era vissuto lì era arrivato alla conclusione che non l’avrebbe mai lasciata. Quella casa era il suo naturale prolungamento e solo lì riacquistava la sua serenità che perdeva immediatamente quando ne usciva fuori.

Quella notte fu per lui molto agitata. Sognò di litigare ferocemente con i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi datori di lavoro, i suoi colleghi, discuteva con tutti loro su conflitti per lui irrisolti. I genitori e suoi fratelli lo accusavano di non aver insistito a tenere la famiglia unita. Di non aver fatto quanto più gli era possibile per metter pace a quel groviglio che si era creato tra i loro rapporti. I suoi datori di lavoro gli chiedevano in malo modo di non insistere nel voler portare avanti quella sua fissazione che tutto doveva essere pulito, intanto i suoi colleghi si voltavano dandosi sguardi di complicità tra di loro mentre sparivano piano piano diventando invisibili. Ma soprattutto lo rese maggiormente inquieto l’aver sognato Paola e la gemella che litigavano davanti a lui mentre lei era abbracciata ad un tipo banale. La gemella le urlava ”Hai lasciato Sandro per questo cretino. Sei proprio caduta in basso”, e lei “Sandro” parlando come se non fosse davanti a loro “lo amavo e lo amo ancora, ma è troppo per me. Io invece voglio la banalità, la futilità, la leggerezza della stupidità. Come questo che mi sta di fronte. Lo vedi come è bello?”

Si svegliò con un magone e una forte sensazione che quel giorno sarebbe stato per lui molto complicato.

Non sapendo il perché, sentì il bisogno di portare via con sé alcuni oggetti importanti per lui, a parte il suo PC con la memoria esterna che conteneva tutto ciò di più importante per lui, due libri, quell’orologio che gli regalò il suo migliore amico che quel maledetto incidente quando erano in moto insieme gli aveva portato via, e altri piccoli oggetti e appunti. Raccolse tutto senza pensarci, non esisteva una ragione in particolare per cui dovesse portare via quelle cose.

Appena uscì di casa sentì un odore di legno bruciato che veniva da lontano, non si fece troppe domande del perché e si avviò verso l’ufficio.

Si era laureato in ingegneria ambientale, era l’unico modo per accontentare un padre pressante e occuparsi dell’ambiente, suo interesse principale. Non fece in tempo a laurearsi che già lavorava in questa multinazionale che lo individuò tra gli altri studenti e lo assunse quasi immediatamente.

Era contento di essere stato scelto da loro che si occupavano di riciclo dei materiali e tutela dell’ambiente, era ciò che avrebbe voluto fare, forse meno chiuso dietro quei finestroni e più a contatto diretto con la natura, ma era convinto che poi le cose sarebbero cambiate. Infatti fu così …. ma in peggio.

Durante la notte gli erano arrivate una serie di mail dal suo nuovo capo che gli dicevano che il giorno dopo era convocato ad una riunione alle 9.30, l’ultima mail terminava così “mi raccomando sii puntuale”. Si accorse di quelle mail solo la mattina alle 9.00 quando arrivò al lavoro, lui si era imposto che fuori dall’ufficio, nel quale passava l’80% delle sue giornate, non avrebbe mai controllato le mail, era un modo per preservarsi, per non essere sempre all’erta. Invece loro avevano l’abitudine di lavorare ad ogni ora del giorno e della notte, per questo erano sempre ansiosi e agitati, non avevano un attimo in cui fermare le cellule del loro cervello per rigenerarle, questo, secondo Sandro, li rendeva un po’ ottusi, monotematici, senza anima.

“Bene vedo che sei puntuale. Siediti che dobbiamo parlarti”.

“Perché non avrei dovuto essere puntuale?” chiese ironico.

“Sandro non abbiamo più bisogno di te. Prendi tutte le tue cose. Ti diamo un mese di preavviso in cui sarai obbligato a prendere tutte le ferie che hai. Non ti preoccupare, ce la vediamo noi con il consulente del lavoro per gestire la pratica”.

Sandro aveva immaginato che prima o poi sarebbe successo. Aveva contrastato non poche volte i loro progetti. Non sopportava di partecipare a questioni chiaramente poco pulite, mascherate da azioni umanitarie.

“Potrei sapere la ragione nello specifico?”

“Opinioni diverse sulla gestione dei progetti e non in linea con l’azienda. Adesso puoi andare, e, a proposito, avrai una liquidazione consistente, una parte in nero potrai prelevarla oggi stesso dal Direttore Amministrativo. Che non ti venga in mente di intraprendere qualche azione legale …..”.

Tornò nella sua stanza passando tra i corridoi davanti gli occhi bassi dei suoi colleghi che fecero finta di non sapere.

Doveva guardare per l’ultima volta da quei finestroni il panorama che gli aveva dato la forza di continuare a stare seduto su quella sedia. Una enorme nuvola di fumo proveniva dal bosco e copriva tutto il comprensorio dove si trovava la sua casa.

Corse a prendere i soldi dal Direttore Amministrativo che, imbarazzato, per cambiar discorso gli disse: Hai sentito dell’enorme incendio qui vicino? Ah, a proposito, è proprio dove si trova la tua casa!”

Prese i soldi e le sue cose e scappò di corsa fuori di lì.

Fu bloccato dai vigili del fuoco sulla statale che portava verso casa sua. Riuscì a lasciare la sua macchina e si incamminò a piedi. Arrivò di fronte alla sua casa quando ormai era tutto bruciato. Si sedette su un enorme sasso e si fermò a guardare quel che era rimasto della sua vita, dei suoi ricordi. Quel giorno aveva perso tutto, la sua casa, il suo lavoro e colei che pensava di amare sopra ogni cosa. Proprio mentre stava lasciando la multinazionale gli era arrivato un messaggio …. Non ti voglio più sentire, smetti di cercarmi. Giorni prima le aveva mandato un messaggio per chiederle di vederlo per l’ultima volta per chiarire quanto era accaduto tra di loro.

Avrebbe voluto chiederle scusa. Scusa per non aver capito, per aver frainteso le sue parole, le sue azioni. Per aver pensato che il loro fosse uno di quegli amori veri che vivono per sempre. Era sicuro dentro di sé che lei provasse un sentimento profondo nei suoi confronti, nonostante quegli improvvisi cambiamenti di umore. Nonostante quei muri improvvisi e quel nascondersi dietro silenzi inspiegabili per lui. Non avrebbe dovuto insistere ogni qual volta la vedeva voltarsi per respingerlo. Nonostante nel tempo avesse capito di non essere una sua priorità aveva fatto finta di niente, avrebbe dovuto frenare ogni suo entusiasmo, ma non ne fu capace. Eppure la sorella gemella l’aveva avvertito “Sandro, stai attento, Paola è volubile. Oggi c’è domani no e poi non riesce a fare a meno di entrare in ogni storia che le capiti. Non ti sarà mai fedele e ti userà come le farà più comodo”. Non le credette. Pensava che la gemella gli dicesse quelle parole perché lei era innamorata e avrebbe voluto essere al posto della sorella.

“Quella era la tua casa?”

“Ormai non c’è più nulla.”

“La mia è quel che resta laggiù.”

Rimasero uno accanto all’altro, immersi in quell’odore acre a guardare attoniti la cenere intorno a loro. Non riuscivano neanche a pensare cosa avrebbero fatto. Sentivano dentro di loro il vuoto delle cose ormai perdute e che non ritornano più. Non avevano la forza di parlare, di muoversi e neanche di fermare quelle lacrime che scendevano sui loro volti.

Quando ormai era passato un tempo interminabile si guardarono negli occhi e dissero, come se qualcuno li avesse svegliati all’improvviso: Andiamo!

Salirono sulla macchina di Sandro e partirono, così senza meta. Da quel giorno cominciava una nuova vita per loro. Nascevano una seconda volta …..

Macinarono chilometri e chilometri, sentendosi finalmente liberi. Liberi da ogni legame, liberi di pensare e di essere. Avevano cercato in tutti i modi di liberarsi anche dal ricordo delle loro case che ormai erano cenere.

Dopo tanto vagare, quella sera si ritrovarono in una minuscola frazione di montagna. Dovevano cercare un posto dove mangiare e dormire. Bussarono ad uno di quei masi. Aprì loro un ragazzo, Filippo, che insieme alla sua piccola famiglia li accolse senza sospetto. Dall’accento avevano chiaramente capito che non appartenevano a quella regione.

“Potete rimanere qui con noi se volete. Domani abbiamo il raccolto del fieno e abbiamo bisogno di una mano. Come avrete visto, in questa comunità siamo pochi e alcune volte non ce la facciamo da soli a portare avanti i lavori necessari”.

“Vi aiuteremo senz’altro!”

Sandro era felicissimo di poter finalmente fare quello che aveva sempre sognato, vivere e lavorare per la natura. Il suo amico inizialmente un po’ meno, ma poi si rese conto che stare lì lo avrebbe aiutato a rigenerarsi. Lo avrebbe aiutato a liberarsi da quella depressione che lo attanagliava da anni, e nonostante non gli mancasse niente, non riusciva a risollevarsi, neanche dopo anni di terapia. Era diventato dipendente dai farmaci che gli prescriveva lo psichiatra. Quando partì con Sandro gliene erano rimaste due scatole che aveva appena ritirato in farmacia quel giorno dell’incendio. Solo per questa ragione li aveva in tasca. Non si fece accorgere da Sandro che prendeva quei farmaci, che in realtà se ne era accorto ma fece finta di nulla, anche se durante il viaggio sentiva sempre meno la necessità di prenderli. Nonostante questo, quando finì le due scatole cominciò ad andare in astinenza. Sandro lo aiutò moltissimo in quei momenti. Gli fu accanto sempre e non lo abbandonò mai fino a che, comunque a fatica, riuscì a farne a meno.

Rimasero in quella comunità per un po’ di tempo, fino a che Filippo un giorno disse loro: “Sono stato in città a prendere un po’ di viveri. Nello scatolone c’era un giornale di quasi un anno fa…. Siete voi questi due?”

I due si guardarono negli occhi. Si sentivano come due bambini scoperti a fumare di nascosto. I loro visi cambiarono di espressione. Un velo di tristezza fece svanire dai loro visi quella serenità acquisita nel periodo passato in quella comunità. Tutto il loro passato che avevano cercato di accantonare piombò nuovamente sulle loro spalle, vivo e doloroso.

“Qui dice che vi stavano cercando. L’incendio era doloso, avete diritto ad un consistente indennizzo. Ragazzi vi rendente conto di come tutti quei soldi vi cambierebbero la vita? E noi che pensavamo che voi foste scappati di prigione …..”

I due non parlarono. Passarono una notte difficile. Il giorno dopo decisero di ricaricare i cellulari. Avevano paura a riaccenderli, stavano così bene nella loro nuova vita che non avrebbero voluto rivedere in faccia il passato.

Resistettero due giorni, e dopo le insistenze dei loro nuovi amici, accesero i cellulari e Sandro accedette nuovamente alla sua mail.

Il suo amico non parlò più per giorni, la rinnovata luce che aveva nei suoi occhi da quando si era “disintossicato” dagli psicofarmaci si era spenta. Dopo aver letto e riletto i messaggi e contattato l’assicurazione che lo aveva cercato per i soldi Pietro gli disse:

“Sandro io vado via. Torno a casa. Ho bisogno di rivedere il mio psichiatra, ho bisogno dei farmaci, ho bisogno della città. Sei stato per me quanto di più importante nella mia vita. Il mio psichiatra me lo aveva detto della mia latente omosessualità, ma io non volevo crederci, non riuscivo a farcela a superare quel confine che mi avrebbe reso libero. Mi sono innamorato di te, o forse sono diventato dipendente da te e non voglio che questa dipendenza rovini la nostra amicizia vera e sincera, perché so che tra e me te ci potrà essere solo un’amicizia fraterna. Non pensare di esserti liberato di me, perché io, dopo che riuscirò a ristabilirmi, dopo che avrò elaborato il mio essere e risolto ogni conflitto insieme allo psichiatra, ti verrò a cercare ovunque. Ti voglio bene, ma ora devo andare.”

Fu molto penoso per Sandro rileggere le sue mail e i suoi messaggi, ma in fondo gli confermarono solamente che lui indietro non avrebbe voluto tornarci. Neanche quel messaggio scritto da Paola “Sandrì ma che mi hai preso in parola? Fatti risentire che mi manchi” lo convinse a riprendersi con facilità la sua vecchia vita.

Questo messaggio gli diede solo la conferma che non l’aveva dimenticata, che mancava anche a lui, ma non riusciva a spiegarsi dopo tutto il male che gli aveva fatto e, nonostante quel suo modo di essere così lontano da lui, il perché fosse ancora innamorato di lei. Ma di cosa era innamorato? Che cosa lo legava ancora a lei? La sua bellezza? La sua leggerezza? Il suo trattarlo male? Il ricordo del sesso? Lui non aveva più parole per lei e allora perché sarebbe voluto ritornare tra le sue braccia?

Fu costretto a ritornare, almeno per sistemare un po’ di cose, tra le quali prendersi i soldi dell’assicurazione.

“Filippo, vado via. Risolvo quel che è rimasto della mia vita e poi deciderò il mio futuro”.

“Sandro, noi staremo qui ad aspettarti a braccia a aperte. Da quando siete arrivati, grazie a voi, sono cambiate tante cose. Abbiamo costruito solide basi per il nostro futuro e spero anche per il vostro. Sistema ciò che è da sistemare, ma pensaci, questi luoghi ti aspettano”.

Ritornò a casa sua, dove fu accolto nella totale indifferenza, solo il fratello più piccolo lo abbracciò con un calore che mai aveva avuto “Fratellò non mi abbandonare anche tu, ritorna. In questa casa c’è tanto freddo e io ancora non ho i mezzi per andarmene”. Aveva ragione, lui non aveva colpa dei sui problemi con gli altri della sua famiglia, non avrebbe dovuto tagliare ogni tipo di rapporto anche con lui. In quei giorni che rimase lì ripresero il loro rapporto. Capì di quanto fosse diverso. Era andato via di casa che lui era ancora piccolo, si accorse solo in quel momento di quanto non lo conoscesse affatto. Ritrovò un ragazzo fragile, solo, incapace di prendere le decisioni più semplici. Attratto dalle metanfetamine che gli davano quella sicurezza momentanea per affrontare la vita di tutti i giorni. Era ancora in tempo per salvarlo. “Angelo, qualunque cosa potrà accadere nella mia vita, ti prometto che ti porto via di qua”.

Tra le mail ne ritrovò una scritta da Elena. Era una sua collega amica. Gli altri, il giorno in cui fu licenziato, gli avevano voltato le spalle, ridacchiavano di nascosto mente lo vedevano prendere tutte le sue cose. Elena invece, che aveva la scrivania vicina alla sua nell’open space, lo guardava triste ma non era riuscita a parlargli e dirgli di quanto le dispiacesse. Lui ed Elena erano stati assunti insieme ed avevano la stessa visione di quanto fosse importante l’ambiente, ma anche di quanto fosse importante l’uomo, con il proprio carattere, le proprie debolezze, le passioni, la volontà. Anche se lei con il passare del tempo un po’ cambiò in quell’ambiente, era veramente brava e difficilmente l’avrebbero mandata via.

Quella mail gliela scrisse circa sei mesi dopo che se ne era andato.

“Caro Sandro,
non so dove tu sia. Non so neanche se mai leggerai questa mail. Ma sei l’unico a cui poter dire la verità. Prima cosa voglio scusarmi con te. Quel giorno che te ne sei andato non ho avuto il coraggio di abbracciarti di esserti vicina. Mi ero ripromessa di farlo il giorno dopo. Ma un giorno dopo non c’è stato. E poi volevo dirti che sono stata licenziata anche io. Vuoi sapere il perché? Cominciamo dall’inizio. Tu sei stato licenziato perché la nuova dirigenza aveva capito che eri troppo retto per acconsentire il proseguimento dei loro malaffari. Sono arrivate in azienda nuove figure, soprattutto femminili. Io avevo già modificato, su loro richiesta, le mie abitudini. Avevo cominciato a indossare tailleur, tacchi alti, a truccarmi un po’ di più. Ma le nuove arrivate avevano i tacchi più alti, più a spillo, erano più truccate, scollate e con le gonne più corte. Non facevano nulla in ufficio, erano un po’ … come spiegarti … di facciata.
Un giorno doveva venire un importante cliente. Il dirigente mi chiamò e mi disse di essere puntale come sempre alla riunione del giorno dopo e di farmi consigliare su come vestirmi dalla sua segretaria. Insomma voleva che mi mettessi la gonna più corta, il tacco più alto, una camicia scollata. Mi disse anche che la nuova dirigenza voleva, anzi mi imponeva, di vestirmi tutti i giorni così. Mi sono sentita, come dire, violentata …. Non dissi nulla. Il giorno dopo andai in riunione in jeans e scarpe da ginnastica, ma tu sai quanto io possa essere brava e il cliente, anche se inizialmente mi guardò con disinteresse, non appena sentì il mio progetto ne rimase estasiato e firmò. I dirigenti erano meno contenti, non apprezzarono la mia disobbedienza. Mi chiamarono (proprio come fecero con te) e mi dissero che da quel giorno dovevo cambiare, essere più disponibile e vestirmi come volevano loro, mi avrebbero pure dato un incentivo monetario per farlo, altrimenti mi avrebbero licenziato. Gli dissi di no, che non lo avrei fatto e avrei sfidato ognuna delle nuove ragazze assunte che rispettavano i loro canoni a fare una presentazione e a stipulare un contratto con un cliente così importante come avevo fatto io. Dissero che a loro non interessava, ci avrebbe pensato un uomo, sicuramente meno bravo di me, ma un uomo anche se non bravo viene ascoltato sicuramente in maniera diversa da una donna. Mi licenziarono, però la motivazione ufficiale furono le mie dimissioni per incompatibilità con altro incarico che mi sarebbe stato affidato da una ditta cliente.
Mi hanno fatto terra bruciata con tutte le ditte clienti e non solo. Presto partirò per l’Inghilterra, spero di trovare qualcosa di interessante e lontana da questa multinazionale.
I colleghi mi hanno voltato le spalle e anche Luigi mi ha lasciata.
Ho rivisto Paola. L’ho trovata distrutta. Mi ha detto che quando ti aveva lasciato era in un periodo di confusione. Mi disse che aveva bisogno di puro sesso, che non sentiva la necessità di legarsi. Invece non era così, dopo aver passato un periodo dissoluto fra le braccia di molti uomini aveva capito che c’eri solo tu, che voleva stare solo con te. Mi ha detto che ti aveva mandato un messaggio ma tu non le avevi risposto. Ha bisogno di te.
Sandro dove sei? Non avevano trovato corpi dopo l’incendio. Qui ti cercano tutti. Stanno ricostruendo la tua casa. Quando leggerai questa mail ti prego mandami solo un cenno della tua esistenza.
Un abbraccio
Elena”

Una sola mail e tutti i fantasmi del passato riapparvero. Le rispose brevemente ringraziandola e dicendole che stava bene.

“Paola … Paola … che fare? Paola ha bisogno di me. Angelo ha bisogno di me. Filippo ha bisogno di me. Pietro ha bisogno di me. Io vorrei rivedere la mia casa, anche se non sarà più uguale a prima. Mi manca il maso e la piccola comunità”.

Aveva lasciato alle sue spalle la sua vita, ne aveva costruita una che lo rendeva libero, ma non ci si può liberare del proprio passato. Si mise l’orologio e andò al cimitero a trovare il suo più sincero e leale amico. Si sedette di fronte alla tomba e rimase lì per ore.

Mentre era lì sentì vibrare il cellulare. “Ciao, sono io….”

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