Racconto pubblicato in "Diciott'anni e dintorni" - Viola Editrice 2016
Finalista XV ed. Premio Letterario Nazionale Giovane Holden (2021) - Sezione Edito - Raccolta di racconti
Il sacchetto di stoffa colorata
- Mamma come
stai?
- Amore mio
finalmente sei riuscita a chiamarmi! Io me la cavo. Ma dimmi di te…
- Mi spiace se
ti chiamo solo ora, ma purtroppo qui non è semplice riuscire a comunicare con
il mondo esterno.
- Sei partita
così all’improvviso, non hai neanche avuto il tempo di dirmi cosa avevi
intenzione di fare. Ma spiegami bene, dove sei arrivata?
- Mamma sono in
Libano, lavoro per una ONG in un campo di rifugiati siriani. Ora ci hanno messo
a disposizione una specie di ripetitore per poter comunicare con l’esterno.
- Così
lontano…..
- Mamma, ho
dovuto andarmene velocemente, avevano bisogno di me. Sai quanti bambini ho
medicato fino ad ora? Centinaia! Mamma, pensa, centinaia di bambini che avevano
bisogno di cure. Qui sto dando un senso alla mia vita. C’è tanta povertà, manca
l’acqua, il cibo, ci sono tante malattie, dolore, ma quando guardo negli occhi
la gratitudine di una mamma o di un solo
bambino che ho medicato mi si apre il
cuore, l’anima. Mi ripaga di tutto ciò a cui devo rinunciare per stare qui.
Era partita all’improvviso, subito dopo la laurea in
infermieristica. Partì senza quasi neanche salutare i suoi amici e la sua
famiglia, per la quale era ormai una estranea. La sorella non le rivolgeva più
la parola, il padre era ormai andato via di casa e la mamma, la povera mamma
subiva in silenzio tutto il vuoto che si era creato intorno a loro.
- Mamma, dimmi
come stai davvero …
- Ora sto bene.
Tua sorella ora vive con un tipo losco, ogni tanto scappa di casa e dalle mani
di quell’uomo e viene da me. Scombussola
la mia vita abitudinaria per poi tornare da lui. Ma in fondo eravamo abituate a
questo modo di fare, non è vero?
- Purtroppo sì.
E io preferisco che stia lontana da te. Devo andare. Ti richiamerò presto.
- Lalla! Lalla
me with you?
- Yes,
Aidha, come here with me.
Aidha era una bimba minuta, con due occhi grandi, curiosi,
alla ricerca del mondo, che si avvicinò a Lalla probabilmente perché le
ispirava fiducia. Era andata da lei tempo prima perché correndo cadde e si fece
male, lei la medicò, da lì nacque un’amicizia speciale.
Lalla si
affezionò in modo particolare perché era una bimba aperta ad accogliere tutto
ciò che il mondo intorno le offriva, di brutto o di bello che fosse, ma nonostante
questa grande curiosità notò in quegli occhi un’ombra che sentiva di conoscere
bene, ma che non riusciva ad identificare. Aidha si attaccò in modo particolare
a lei, forse perché percepiva che Lalla era in grado di cogliere ogni suo stato
d’animo e ciò significava che poteva
fare affidamento su di lei.
La bimba era lì con la sua famiglia, era fuggita
dalla Siria e per il momento si era rifugiata in Libano con la speranza di
poter ripartire presto verso una terra che li accogliesse. La madre era sarta -
che coincidenza, anche la sua di mamma cuciva - il padre in Siria era un
impiegato con una media istruzione, aveva un fratellino più piccolo e una
sorella più grande.
- Ciao Mamma …
- Finalmente ti
sento.
- Se ne è andata
via Grazia?
- Per fortuna
sì.
- Mamma, vorrei
che non ritornasse. Tu l’accogli sempre, ma dopo quello che ti ha fatto vorrei
che tu non la vedessi più.
- Sai bene che
tutto l’odio e il rancore che provava, anzi prova per me, è giustificato dal
mio comportamento. Io mi ero voltata dall’altra parte e non dovevo.
- Ho conosciuto
una bambina. Si è affezionata, mi segue sempre, cerca un rifugio in me. Ho un
brutto presentimento, devo salvarla.
- Stai attenta,
non puoi espiare la colpa infondata di
non aver salvato tua sorella …..
- Mia sorella
per quanto mi riguarda non esiste più. Mamma, devo andare.
Il lavoro nel campo profughi aumentava di giorno in giorno, molti siriani
erano costretti a scappare dal loro Paese e nel campo non c’era più posto. I
volontari non bastavano per aiutare tutti, e quei pochi erano talmente
sovraccarichi di lavoro che la stanchezza li divorava. Le malattie aumentavano
e l’infermeria era troppo piena per contenere tutti. I volontari facevano del
loro meglio, sapendo benissimo che non era abbastanza.
Aidha la seguiva sempre, la guardava da lontano e
cercava di non perdere il contatto anche solo visivo con lei. Un giorno si
accorse che era la mamma che l’accompagnava verso l’infermeria e da lontano la
lasciava e la incitava ad avvicinarsi. Quando Lalla aveva un po’ di tempo si
sedeva vicino a lei e cominciavano a comunicare, con l’arte della fantasia
facevano lunghi discorsi. Per questa ragione decise di insegnarle un po’ di
inglese. Trovò dei libricini colorati e
grazie a questi le insegnò le basi della
lingua. I mesi passavano e la comunicazione con la bambina diventava sempre più
facile, ciò le permise di entrare nella cultura dei siriani, nel loro modo di
essere, di pensare, di vivere la loro religione, di affrontare la realtà.
Conoscere l’”altro”, aiuta ad accettare, a capire le motivazioni e a non aver
paura di lui. Si diventa più uniti e le differenze, invece di dividere,
diventano dei tesori che arricchiscono il proprio essere. Ormai conosceva uno per uno gli
“ospiti” di quel campo che cominciavano ad innervosirsi perché vedevano sempre
più lontano il giorno in cui sarebbero riusciti a lasciare quel posto, che
stava diventando, ormai, troppo piccolo per contenere tutti.
Quella mattina, vide arrivare di corsa la mamma di
Aidha con la bambina in braccio. E con le lacrime agli occhi disse:
- Lalla, Aidha with you, please!!! I will come back soon.
Le diede in braccio quella bimba con gli occhi
grandi e spaventati. Aveva segni su tutto il corpo. La medicò e mentre le
toglieva i vestitini si accorse che i
pantaloncini sotto il vestitino erano stracciati. Era strano, perché la mamma,
con i pochi mezzi che aveva, cercava di tenere
i proprio figli sempre vestiti in modo decente. Si accorse di un graffio
lungo la schiena che terminava giù vicino all’incavo delle natiche. Le si
raggelò il sangue, provò un senso di odio, di paura, di nausea e abbracciò più
forte che poteva quella bambina minuta che in qualche modo le aveva svelato, in
parte, il suo segreto.
Il giorno dopo lascò la bambina in infermeria e si
recò verso la tenda della sua famiglia, non voleva fare niente, ma voleva
vedere le condizioni in cui versavano. Cercò di non farsi vedere. Il fratello
piccolino gironzolava e correva davanti la tenda cercando di sfidare il
“controllo” della sorella grande. Il padre era seduto da una parte con l’aria
affranta e quasi colpevole e si reggeva la testa con le mani. La madre era lì, che con il suo
occhio vigile, controllava ogni movimento di tutti mentre cercava di rassettare
quel poco che avevano. Si avvicinò al
marito e con aria severa gli disse di andare a procurarsi il cibo che stavano
distribuendo. Era forte, uno sguardo rigoroso e impassibile, ma le sue rughe,
nonostante la giovane età, mostravano che non sempre era stata così, si
intravedeva che in passato il sorriso si era posato su quel volto che doveva
essere stato molto bello. Il maritò si alzò e si avviò verso i volontari che
distribuivano il cibo.
Per il tempo che Aidha rimase in infermeria ogni
giorno andava a spiare da lontano quella tenda, per scorgere e capire cosa si
nascondesse in quella famiglia.
- Finalmente
sono riuscita a mettermi in contatto con te. Hai qualche novità da raccontarmi?
- È venuto tuo padre.
- Papà?!?! Cosa
voleva da te? Non penso sia tornato per riprendere quelle due cose che aveva
lasciato quando è sparito dalle nostre vite portandosi via mia sorella per non
tornare più, per fortuna….
- Vuole
parlarmi. Ha detto che gli anni passano e sente la necessità di dover chiarire con me e con te quanto è
accaduto. Non sapeva che tu fossi
partita.
- Dopo tutti
questi anni? Se non sapeva che fossi
partita vuol dire che Grazia non gli ha detto nulla, quindi non si sentono più,
lo ha abbandonato anche lei.
- È vero. Non si
sentono più da quando lui ha conosciuto un’altra donna e si sta ricreando una
vita. Mi ha detto che Grazia non sopportava il fatto che lei lo stesse
cambiando. È come se questo nuovo amore gli avesse riaperto una ferita e fatto rendere conto di quanto avesse sbagliato. Mi
ha detto che l’ha convinto a curarsi, ad andare in analisi per capire la
ragione del suo comportamento.
Nei giorni successivi Lalla fece sogni molto
tormentati. Sognava situazioni e
immagini che le sembravano terribilmente reali, ma che non riusciva ad
identificare completamente.
Aidha si riprese perfettamente e riacquisì quella
leggerezza tipica dei bambini curiosi che hanno fame di conoscere il mondo
intorno a loro. In fondo i bambini hanno una grande capacità, ed è quella di
trarre un “senso del gioco” anche nelle situazioni più avverse, come se non si
accorgessero che il mondo intorno a loro sta rotolando nelle peggiori
situazioni. Dobbiamo imparare dall’ingenuità e leggerezza dei bambini per
affrontare le realtà avverse che ci circondano.
Aidha perse anche quella leggera ombra che Lalla aveva intravisto nei
suoi occhi, tanto che pensò di essersi sbagliata, forse le ferite che aveva
erano solo il risultato di una caduta nel rincorrersi con il fratellino. In
fondo, nell’osservare la famiglia nel tempo non aveva notato nulla di più di
quanto possa accadere in un contesto familiare. Tranne la severità che scorse
nella madre quel primo giorno di osservazione.
- Aidha in
questi giorni è rimasta con me. Che splendore di bambina, mamma. Non ha nulla
di tutto ciò che i nostri bambini hanno e nonostante ciò riesce a giocare e a
tirar fuori una fantasia fuori dal comune in ogni piccola cosa. Sta imparando
l’inglese velocemente, spero che le serva nel viaggio che stanno per
intraprendere.
- Riusciranno a
ripartire?
- Mi auguro che
presto ci riescano. Si è creato un gruppo attorno ad un piccolo circolo di
intellettuali siriani che con un po’ di intraprendenza
sta organizzando la partenza e l’esodo. …. Avere vicino a me quella bambina mi
ha fatto ritornare indietro nel tempo. Avevo la sua età quando ….
- Quando cosa?
Il passato deve rimanere passato, non fare in modo che ritorni e ti distrugga
la vita, non è colpa tua, non potevi salvare tua sorella. E poi quando accadde
tu non avevi la sua età eri più grande.
- No mamma,
forse è il momento che tu sappia la verità.
Cadde inesorabilmente la linea.
Lalla non riuscì a comprendere le parole che aveva
detto. Sembravano parole non sue. Era come se, come in una psicoterapia,
all’improvviso si rivelasse al suo inconscio qualche cosa che non appartenesse
a lei o che aveva completamente rimosso. Forse gli incubi che aveva avuto
subito dopo l’ultima telefonata con la madre cominciavano ad avere un
significato.
Ambedue nelle loro solitudini si chiesero cosa
volesse intendere la frase: forse è il momento che tu sappia la verità. Qual
era questa verità? Lalla continuava a cercare nei meandri della sua memoria
qualcosa che in realtà la turbava, ma cosa era?
Fino a che un giorno la madre andò a riprendere
Aidha per riportarla a quella che in quella situazione poteva definirsi casa.
Lalla era in pausa in quel momento, approfittarono
per sedersi e prendersi un tè in una apparente tranquillità.
- Lalla, thank you per tuo aiuto.
- Aidha is a beautiful child
- I know ….
I suoi occhi si abbassarono, come a voler nascondere
qualcosa, ma nel movimento della mani si notava una comunicazione non verbale,
voleva dirle qualcosa di più.
- Her father ….
Le raccontò che il padre amava molto la sua bambina,
stravedeva per lei, per la sua intelligenza, per la sua freschezza. Un giorno
la mamma si accorse che la guardava con occhi diversi, anche la bambina se ne
accorse tanto da non voler rimanere mai da sola con lui, tentando sempre di
allontanarsi. Fu una di queste volte che si fece del male per fuggire. La mamma
si irrigidì e la portò di corsa da lei. Nei giorni che seguirono fu molto
severa con il marito, che, non riuscendo a capire la ragione del suo innaturale
comportamento aveva cominciato ad aver paura di sé stesso. Fu lui ad incitare
la moglie a portare la figlia lontana da lui. La madre durante le notti
appoggiò gli altri due figli nella tenda della cugina e rimase sola con il
marito. Nessuno sa cosa si dissero, ma tutti videro la fermezza nel volto della donna e il senso di colpa in
quello dell’uomo. Dopo qualche giorno la
donna ritenne che Aidha poteva ritornare e non aver più paura del padre. La
mamma con la risolutezza aveva salvato la sua bambina e aveva salvato il marito
dai suoi mostri.
Le raccontò che purtroppo, in quel campo profughi,
succedeva in altre famiglie, ma non tutte le mamme riuscivano a salvare i
propri figli. Lei era fortunata, suo marito aveva ricevuto un’educazione
fondata sul rispetto dei propri figli ed aveva una media cultura e un carattere
buono, la sua determinazione riuscì a salvare la figlia ed era certa che non
sarebbe accaduto mai più, soprattutto perché Aidha, aveva riconosciuto il
pericolo e lei le aveva insegnato a gestirlo.
- I hope so ….
Finirono di bere il tè, ma prima di andarsene le
regalò una sacchetta tutta colorata fatta da lei con i pezzi di stoffa che
aveva racimolato.
- This is for
you …. Per custodire i tuoi sogni.
Rimase sconcertata da quel racconto. Come poteva
fidarsi di quell’uomo? Come si fa a fidarsi di un uomo del genere? …. Anzi come
ci si può fidare di un uomo.
Lalla era sola, nonostante fosse una bella ragazza e
soprattutto di buon carattere. Non aveva lasciato nessun fidanzato a Roma.
Aveva avuto pochi amori nella sua vita che non era riuscita a gestire. Dopo un
po’ fuggivano da lei, e lei stessa non riusciva a capire la sua rigidità
nell’affrontare un rapporto. Pensò che era colpa sua, che non era pronta,
sicuramente in futuro avrebbe conosciuto qualcuno di cui fidarsi e soprattutto
a cui affidarsi. Per ora stava bene
così, almeno credeva, ma sapeva benissimo che le mancasse qualcosa di
importante. Un medico del campo si era accorto di lei e a Lalla non dispiaceva
essere corteggiata. Ma dopo la telefonata della madre in cui le disse che aveva
parlato con il padre, si chiuse a riccio e non gli permise neanche di poggiare
lo sguardo su di lei, sfuggendo ad ogni tipo di approccio.
Un gruppo di Siriani riuscì a partire, tra i quali
anche la famiglia di Aidha. Prima di andare via andarono a salutare Lalla e
tutti, uno per uno, l’abbracciarono con il sincero dispiacere di lasciarla in
quel campo.
- Good luck!
This is my mobile number, please call me, I would like to know in what country
you will arrive. Bye!
I will miss you….
Nel tempo che lei rimase in quel campo non riuscì
più a mettersi in contatto con la madre, il non poter confrontarsi con lei dopo
quella famosa telefonata la agitò in modo incontrollabile, tanto da cadere in
una profonda depressione. Pensava e ripensava cosa intendesse dire con quelle
parole “- No mamma, forse è il momento
che tu sappia la verità.” Quale poteva essere questa verità?
Finalmente arrivò il giorno della partenza. In
realtà Lalla non era molto contenta, sapeva che il rientro a Roma le avrebbe
aperto quei cassetti dell’anima che fino ad allora non era riuscita ad aprire.
Sapeva che c’era chiuso qualcosa di tremendo, ma non sapeva ancora cosa.
Adduceva questo stato di malessere alle vicende della sorella e cercava lì le
risposte, ma non le avrebbe mai trovate, perché in realtà le risposte erano
altrove.
Grazia era una bambina precoce, aveva sempre
dimostrato un’età maggiore di quanto avesse. Per questa ragione non visse in
pieno la sua infanzia, cercava sempre qualcosa di più, voleva essere come la
sorella, di tre anni più grande di lei. Questa smania di crescere la rese molto
agitata, in continua competizione e di difficile gestione da parte dei
genitori, anzi, da parte della madre. Il padre amava quel modo spregiudicato e anche
un po’ provocante del suo essere. Quando Grazia compì dieci anni le vennero le
prime mestruazioni, questo accentuò la sua disinvoltura. Era contenta che i
seni le crescessero (quando invece le coetanee e addirittura la sorella più
grande, facevano di tutto per nasconderle), le piacevano quei peli pubici che
fuoriuscivano dalle mutandine, tanto da girare per casa mezza nuda per mostrare
ciò di cui era più orgogliosa. Andavano di moda quei pantaloni a vita a bassa e
lei li teneva talmente giù da far intravedere l’attaccatura delle natiche,
sedendosi in modo da far vedere le mutandine fin giù. Insomma era davvero
spregiudicata e le piaceva questa sua disinvoltura nel provocare il padre, che
la guardava orgoglioso della sua bellezza. Più cresceva e più si creava un
rapporto quasi morboso tra i due. Lui scherzando le toccava il sedere o i seni
e lei lo provocava mostrandosi scollata. Lalla si ingelosì, la sorella le aveva
allontanato il padre per sempre, anzi da quando la sorella cominciò a
svilupparsi lui la trattava male, la denigrava davanti a tutti. La madre in
quel periodo lavorava in una sartoria di alta moda, e soprattutto nei periodi
delle sfilate passava buona parte della giornata a cucire quegli splendidi
vestiti, quindi non si accorse immediatamente di ciò che stava accadendo nella
sua casa. Anzi, il marito aveva tirato fuori tutta quella libido che sembrava aver
perso da tempo, chiedendole ogni sera di fare l’amore. Ma lei era stanca,
provava ad accontentare le sue richieste, ma non sempre riusciva a soddisfare
le sue attenzioni.
Una mattina Grazia decise di non andare a scuola,
diceva di stare poco bene e rimase a casa da sola. Anche Lalla non si sentiva
bene ma decise ugualmente di andare a scuola, ma fu costretta a chiamare la
madre perché la andasse a prendere, lasciando per un’ora il suo lavoro in
sartoria.
Lalla salì lentamente le scale, infilò le chiavi
nella toppa ed entrò silenziosamente in casa. La porta della loro stanza era
semichiusa e da lì provenivano dei respiri affannosi, pensò subito “ecco, è
sempre la solita, è rimasta a casa per invitare quello stupido amico del
liceo”. La curiosità era grande, sbirciò dall’apertura e vide un uomo in piedi
di spalle con i pantaloni abbassati che toccava il corpo della sorella, che
nonostante fosse precoce, era ancora acerbo, e il viso di lei era appoggiato
sul pube dell’uomo. Non voleva neanche immaginare cosa stesse facendo. Grazia
si accorse della presenza non gradita e la fulminò con uno sguardo che le
imponeva di andar via. La scena fu troppo veloce per riconoscere chi fosse
quell’uomo, ma scappò via. Vagò per due ore in giro per la città, ore interminabili passate a
riflettere, le sembrava di ricordare di aver già vissuto quella scena che aveva
appena visto, ma dove? E chi? Forse una
scena di un film visto da piccola, quando di notte si nascondeva per sbirciare
i film che vedeva il padre? Forse sì ….
La sorella aveva percepito che Lalla non aveva
capito chi fosse quell’uomo e le intimò di non farne parola con nessuno. Nel
tempo si accorse, grazie ad alcuni piccoli segnali, che in quella loro stanza,
quando lei non c’era, la sorella ospitava presenze maschili. Alcune volte la
notte aveva la sensazione di sentire dei
fiati e dei rumori sordi nella stanza. Quando lo faceva notare alla sorella,
Grazia le rispondeva che non erano fatti suoi e di non dirlo a nessuno. Quella
ragazza aveva un grande potere su di lei, ma non riusciva a spiegarsi il
perché. Il segreto di quella presenza rimase chiuso per qualche anno, fino a
che un giorno lei e la madre tornarono a casa prima del previsto. Nel momento
in cui aprirono la porta videro Grazia e il padre con i pantaloni abbassati in
inequivocabili atteggiamenti.
La madre si irrigidì, non disse nulla, andò verso la
cucina per lasciare la spesa. I giorni successivi non rivolse più la parola al
marito, cercò di avvicinarsi alla figlia piccola che invece di cercare rifugio
la allontanava urlandole parolacce. Furono giorni di silenzio e di grande
tensione, fino a che lei disse al marito di andarsene e di non tornare più.
Credeva che in questo modo avrebbe salvato figlia, invece Grazia le urlò: “Io
andrò via con papà perché lui mi vuole bene, invece tu, come mi ha detto lui
non me ne vuoi. Volevi abortire quando hai saputo di essere in cinta di me, mi
odiavi!” continuò “Papà mi ha aperto gli occhi, mi ha detto la verità, che Lalla
era la tua preferita e che non avresti fatto nulla per me, anzi eri addirittura
gelosa di me per la mia bellezza”. Se ne andarono e non tornarono per molto
tempo. Ogni tanto Grazia, quando il padre aveva qualche breve relazione,
tornava a casa da loro, metteva tutto in disordine per poi tornare sempre dal
padre.
Lalla arrivò a Roma in una grigia giornata di fine
inverno. La madre nel vederla, non sapendo del suo arrivo, si meravigliò
moltissimo e scoppio in un pianto quasi liberatorio di tutta la tensione
accumulata.
“Ecco, vedi che avevo ragione!” sentì all’improvviso
queste parole alle sue spalle. “Papà aveva ragione nel dire che lei vuole bene
solo a te. Io quando torno a casa non sembro meritare questa calorosa
accoglienza”.
“E allora perché non torni da lui e ci lasci in
pace?”
“Ora ha altro a cui pensare. Dice che deve guarire e
mi ha chiesto di stare lontano da loro per un po’. Ma mi ha giurato che poi,
quando si sarà guardato dentro e avrà capito tante cose, potrò tornare. Se
“quella” me lo permetterà”.
“Beh, almeno papà vuole più bene a te, sarai
contenta, no?”
“Lalla, io ti ho sempre odiato, loro amavano te.
Pure papà voleva più bene a te, io vi ho visti sai?”
La madre si fermò fissa a guardarla con aria
interrogativa.
All’improvviso Lalla si sentì mancare, come se tutto
il sangue che scorreva nella vene scendesse
verso le gambe e i piedi, come se il
cervello diventasse bianco e vuoto all’improvviso. Vide tutto nero e quando
riaprì gli occhi si trovava proprio di fronte a quel divano dove il padre di
notte era seduto a vedere quei film di seconda visione sulle TV private.
Le apparve il padre fermo al buio, illuminato solo
dalla luce del monitor che guardava avidamente la televisione e lei dietro che
sbirciava quelle immagini e le reazioni del padre nel vederle, il movimento
delle sue mani …
Cominciò a sudare, quelle immagini erano quasi
reali.
“Sì, Lalla, vi ho visto quella notte, quando papà
vide che lo stavi spiando. Non si preoccupò, ti chiamò verso di lui, prese la
tua mano e la avvicinò verso di lui. Cercava di baciarti e avvicinarsi a te. Vi
ho visto!! Sono scappata via, significava che lui voleva più bene a te. A me
non mi considerava nemmeno.”
Si sentì mancare. Si aprì quel famoso cassetto che
aveva tenuto chiuso a chiave da quel giorno, rivenne alla sua memoria ciò che
accadde quella sera, una scena quasi reale.
Con un’apparente calma disse:
“Ora ricordo bene quella notte. Mi toccò ovunque,
cercò di avvicinarsi a me, avvicinò le mie mani verso di lui, ho sentito un
certo senso di schifo, mi veniva da vomitare ma non riuscivo a reagire, ero
immobilizzata, in trance, aveva un potere enorme su di me. Non riuscivo a
parlare, non riuscivo a reagire. Era eccitato e continuava a toccarmi e a farsi
toccare. Io non capivo cosa significasse. Tutto avveniva mentre in TV passavano
quelle immagini e nonostante il volume basso, si sentivano quei respiri, quegli
ansimi, quelle scene mi fecero capire che stavo facendo qualcosa di brutto, ero
piccola, non potevo capire. Ma cominciai a sentirmi colpevole, sporca. Fino a
che ho sentito un rumore. Come se mi fossi svegliata da un senso di torpore, mi
liberai da lui e gli tirai un calcio, dicendo: mollami e non mi toccare mai
più!”
La madre fu colta da un malore improvviso e si
lasciò andare sulla poltrona. “È tutta colpa mia, avrei dovuto proteggervi e
invece io non c’ero come avrei dovuto.”
“Da quel giorno papà cominciò ad odiarmi, mi
allontanava sempre, mi trattava sempre male. È colpa mia se poi è accaduto quel
che è successo a Grazia.”
“No, Lalla, quello era il mio unico modo di tenere
papà vicino a me. Sentivo che in quel modo mi voleva bene ed aveva
considerazione nei miei confronti, cosa che non avevo avuto fino a quella
maledetta sera per te, ma benedetta per me. Appena mi riaprirà la porta io
tornerò da lui e non vedo l’ora che “quella” se ne vada e mi lasci rientrare in
quella casa.”
Intervenne la madre: “Grazia, non capisci che quello
di tuo padre è un voler bene “malato”, non è un voler bene ad una figlia?
Allora provai a fartelo capire ma tu non hai voluto credermi”
“Mamma, cosa vuoi adesso da me? Mi odiavi, tu non mi
volevi bene. Invece lui sì”!
“Non è mai stato vero che ti odiassi. Io ti amavo,
proprio come amavo tua sorella. Poi è stato difficile per me riuscire a starti
vicino quando tu mi allontanavi, ti chiudevi. Io ci ho provato con tutte le
forze che possedevo. Ma non ne sono stata capace. Nessuno di noi è perfetto,
nessuno di noi è capace di reagire e agire in determinate situazioni come
vorrebbe. Siamo esseri imperfetti e io non sono stata capace di chiedere aiuto
fuori da questa casa. Non volevo che si sapesse fuori da queste mura quel che
accadeva, cosa era diventato l’uomo che amavo e che amava me. Io avevo capito
cosa stesse succedendo, avevo capito pure cosa successe quella maledetta sera,
perché sentendo i rumori mi alzai e vidi Lalla correre via verso la stanza e
percepii l’imbarazzo di vostro padre. E non ho fatto nulla, cercavo solo di
accontentarlo sempre a letto in modo che non avesse pulsioni, pensando che il
problema fosse solo lì, invece era profondo, molto più profondo. Non è colpa
vostra ragazze, è colpa mia, che non ho avuto la forza, la fermezza per
aiutarvi. Anche io volevo bene a vostro padre e non volevo perderlo.”
Cadde un silenzio e un gelo improvviso.
Nei giorni successivi le tre donne passarono notti
insonni e piene di incubi, i ricordi cominciavano a diventare più vivi come se
il panno pesante che li copriva si fosse all’improvviso squarciato provocando
un dolore immenso. Era difficile guardarsi negli occhi, si sentivano piene di
colpe e non riuscivano a liberarsi da quei lacci che le tenevano legate.
Grazia non sopportava quell’aria grigia che
aleggiava in quella casa e tornò dal ragazzo del momento senza neanche
salutarle.
Le nostre vite alcune volte prendono corsi diversi a
causa di coincidenze, sarà il fato, sarà il volere? non lo sappiamo, ma di
certo grazie a loro qualcosa cambia all’improvviso e ci si ritrova in strade
mai percorse e che mai si è pensato voler percorrere.
Il giorno dopo le due donne si guardarono negli
occhi, era il momento di sciogliere quel ghiaccio che si era creato tra loro.
Si abbracciarono e si sciolsero in un pianto liberatorio, promettendosi di
voler cominciare a cambiare a partire dalla disposizione dei mobili di quella
casa che ricordava loro troppi avvenimenti dolorosi. Proprio in quel momento
squillò il telefono. La madre andò a rispondere in salotto e ci rimase per un
bel po’ di tempo.
Ritornò con una espressione un po’ frastornata. “Era
mia cugina. Te la ricordi? lavorava con me all’atelier tanti anni fa. Poi si è
trasferita a Bruxelles e ha creato una piccola sartoria. Ma pensa, poverina, è
costretta a mollare tutto. È nata la nipotina e la figlia le ha chiesto di
darle una mano. Ha deciso quindi di tornare in Italia per fare la nonna!”
All’improvviso il viso di Lalla si illuminò. “Mamma
andiamo noi, rileviamo la sartoria e ci trasferiamo lì. Tu mi insegnerai a
cucire e ricominciamo. Vedrai troveremo
aiuto.”
“Hai studiato tanto e ora butti via la tua laurea
così? Poi non è detto che riusciremo a farcela. Io è tanto tempo che non
lavoro, dovrò insegnarti il mestiere. C’è poco tempo.”
“È tempo di cambiare. È tempo di andare via da
questa casa, da tutto questo dolore. Ricominceremo. Troveremo un aiuto.”
“Hallo Fatima, it’s me …” la mamma di Aidha fu
felice di dare loro una mano.
Ricominciare dal nulla. Partirono all’improvviso,
senza avvisare nessuno.
Arrivarono a Bruxelles in una calda giornata di fine
primavera. Trovarono tutta la famiglia di Aidha al completo ad aspettarle.
Nonostante si trovassero in un paese a loro sconosciuto, quell’accoglienza e
quel calore le face sentire a casa.
Nei giorni seguenti si incontrarono con la cugina
che fece loro il passaggio di consegne.
Rilevarono la sartoria che si ingrandì. Gli inizi
non furono facili, e lavorarono duro per molto tempo, l’aiuto di Fatima fu
fondamentale, fino a che la sartoria non diventò una delle più importanti della
città, procurando lavoro a molte ragazze.
Le due donne avevano la vita talmente impegnata a
cercare di risolvere i problemi della sartoria che si dimenticarono quello che
avevano lasciato a Roma, fino a che un giorno arrivò la telefonata della
sorella: “Ve ne siete andate senza dire nulla! Ho saputo da nostra cugina tutto
quello che avete fatto. Ma a me non interessa nulla, vi ho chiamato solo per
dirvi che torno a casa nostra, non voglio più stare con papà”. La madre le
rispose: “Va bene. Vieni a trovarci qui a Bruxelles quando vuoi”, e attaccò. Si
aspettavano che quella chiamata riaprisse loro una ferita che si stava rimarginando,
ma cosi non fu, si ritrovarono più unite e forti che mai.
Un giorno mentre osservava quella nuova famiglia che
aveva creato, Lalla riprese dalla borsa il sacchetto colorato che le aveva
regalato Fatima in Libano, i sogni erano custoditi tutti lì e piano piano si
stavano avverando.
Lalla si era liberata dei fantasmi del passato,
finalmente l’amore era entrato nella sua casa…..
Splendid introduction of these short stories .. I am in the perspective of news. Congratulations.
RispondiEliminaThank you!! The book is printed and is in the process of early publication (four short stories)
EliminaThank you!! The book is printed and is in the process of early publication (four short stories)
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