Vincitore terzo posto
Pubblicato in Gocce d’inchiostro 2018 "Racconti" A.A. V.V. - Viola Editrice
Va in scena lo scrittore - 2017
Sezione racconti
Prima selezione finalisti
Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS)
La mancanza
di Francesca Cammisa
Il
tempo modifica, modifica l’amore, modifica noi stessi, colpa del tempo o dei
paletti che creiamo in noi per sopravvivere. Ad un certo punto non si riconosce
più la persona che avevamo di fronte, quella che pensavamo essere e possedere
tutto ciò che avremmo voluto. Si cominciano a cercare delle giustificazioni e a
vedere che tutto ciò che rendeva speciale quella persona non c’è più o, forse,
quella persona non ce la vuole più mostrare. Si comincia a metter da parte e,
quella persona che prima era nella nostra anima vivida, presente interamente, svanisce
pezzo dopo pezzo. Sbiadisce ogni singola parte, fisica e psichica fino a quasi
dimenticarne anche il volto. Scompare piano piano quel viso forse anche
sorridente. Ne rimane un alone, un
ricordo sbiadito. Ma man mano che la figura si indebolisce si sente la mancanza, ci si sente come se
mancasse un pezzo di noi stessi. Si crea un vuoto, una zona cieca e buia. Tutto
ciò accade nel momento stesso in cui non si sente più il dolore. Il dolore
mantiene vivo ogni ricordo, mantiene viva la persona dentro noi stessi. Nel
momento stesso in cui viene a mancare il dolore si perde anche l’amore.
Quel
giorno, dopo l’ennesima sfuriata della madre, incomprensibile per lei, Giovanna
si era nascosta nel suo nascondiglio preferito, un piccolo sgabuzzino dietro la
cucina ed era ferma lì in silenzio e al buio. Il padre stava cucinando, all’improvviso squillò il cellulare, rispose
in viva voce:
“Pronto,
Luigi hai novità da darmi”.
“Ciao
Marco, ti devo parlare”.
“Dimmi
che sono finiti gli esami e che Anna non deve più sostenerne altri. Ultimamente
questo stress continuo di visite l’ha resa ulteriormente instabile”.
“Sì,
Marco, abbiamo fatto tutti gli accertamenti necessari.” e dopo una lunga pausa
disse “… purtroppo. Comunque vieni domani a studio alle 18.00, ci sarà con me
anche lo psichiatra”.
Marco
passò una notte insonne. Anna aveva preso il solito sonnifero e dormiva in un
sonno pesante. I bambini, Giovanna e
Mario, erano molto nervosi, sopratutto in quel periodo e si svegliavano
continuamente. Anche lui era molto agitato, pensava e ripensava a quel che
avrebbe dovuto ascoltare dai due medici. In cuor suo aveva già il presentimento
di ciò che gli avrebbero detto, ma aveva sperato fino all’ultimo che non fosse
così, ma quel “purtroppo” non anticipava nulla di buono.
Giovanna,
quando nacque Mario, era troppo piccola per darsi delle spiegazioni sul mutato
essere della madre. Aveva capito che la mamma passava dei momenti di “grande
tristezza”, in quei momenti le andava vicino, prendeva una spazzola e, come se
fosse una bambola, le spazzolava i capelli che le cadevano sul viso in modo
disordinato. A volte la mamma cominciava a piangere, altre sorrideva e quando
era così Giovanna si sentiva importante: pettinandola faceva andar via quel
lupo cattivo che la allontanava da lei. Era il loro segreto.
Ma
quando arrivò il fratellino tutto cambiò. Anna cominciò ad alternare momenti di
depressione a momenti di agitazione e altri in cui in modo ossessivo si muoveva
per la casa senza un motivo ben preciso. In quei momenti la trattava male, la
sgridava in continuazione, le lanciava in braccio il piccolo dicendo “Toh,
prendi ‘sto brutto mostro”, altre volte le urlava “Stai lontano da tuo fratello
che gli fai male!”, erano i momenti in cui non voleva più che Giovanna la
pettinasse. Quel privato momento di intimità e condivisione con la madre le
insegnò per la prima volta cosa significasse la “mancanza”.
Marco
sperava che con il tempo si modificasse lo stato di Anna. Ricordava con
tenerezza il giorno in cui decisero che non si sarebbero mai più lasciati, i
suoi capelli lunghi biondi, gli occhi azzurro del mare, la pelle chiara, il suo
sorriso dolce. Anna non alzava mai la voce, nessun gesto inconsulto, era
solare. Marco non ce l’avrebbe mai fatta senza il suo aiuto in quel periodo in
cui tutto cambiava nella sua vita e non riusciva a trovare dentro di sé quella
forza necessaria a vivere. Rimase accanto a lui sempre, a sostenerlo in ogni
momento. Di questo Marco gliene sarebbe stato sempre grato e soprattutto nel
momento in cui lei stava precipitando nel profondo sentì la necessità, forse
perché si sentiva in debito, di non doverla abbandonare. Lo doveva fare anche per Giovanna e Mario, avevano
bisogno di lui.
Era
un giorno di primavera di quindici anni prima. Il padre e la madre decisero di
prendersi qualche giorno di vacanza, il lavoro in ditta era molto stressante ed
avevano bisogno di riprendere un po’ fiato. Lasciarono a Marco, nonostante
avesse iniziato da poco a lavorare con loro, la gestione dell’Azienda. Si era
appena laureato in economia e per “farsi le ossa” aveva accettato la proposta
del padre di aiutare lui e la madre nell’amministrazione della media azienda di
famiglia. Da un lato accettò a malincuore, avrebbe voluto andarsene da lì, ma
in fondo il padre aveva pur ragione,
sapeva benissimo che da solo fuori da lì non ce l’avrebbe mai fatta. Ne
aveva parlato con il suo analista, perché avrebbe voluto risolvere quello stato
d’ansia che non gli permetteva di allontanarsi dal suo quotidiano.
Durante
l’Università il suo professore gli aveva proposto una borsa di studio per
andare a studiare al MIT in
Massachusetts, ma disse di no immediatamente senza neanche pensarci. Il
professore allora gli propose di andare a Oxford, aveva sei mesi di tempo per
pensarci. Il padre insisteva perché andasse, era certo che sarebbe stata
un’ottima occasione di crescita per il suo futuro. Anche lui lo pensava, ma
c’era qualcosa che lo bloccava. Furono sei mesi carichi di ansia, infinite
sedute dall’analista per cercare di capire se sarebbe riuscito a partire. Non
partì mai, acquisì la consapevolezza che mai sarebbe riuscito a far nessun tipo
di carriera a causa di quell’ansia che lo consumava e per questo cadde in
depressione. Il vuoto si era impossessato di lui. Si laureò a pieni voti e il
giorno dopo varcò la porta dell’azienda del padre.
“Marco
noi siamo arrivati. Tutto bene. Il Dr. Valentini sta aspettando una tua
chiamata. Chiamalo subito! Ti richiameremo quando ci saremo stabiliti meglio”.
Gli arrivò questo messaggio.
“Che
vorranno dire con - quando ci saremo stabiliti meglio-?”. Provò a richiamarli
ma i cellulari erano sempre “non raggiungibili” . L’unica soluzione era quella
di chiamare il commercialista come loro avevano indicato.
-
Ciao Paolo, come stai? Mi ha scritto papà di chiamarti, ti serve qualcosa? Mi
sembrava di averti mandato tutto.
-
Ciao Marco, devi venire qui da me in studio. Devi firmare delle carte e ti devo
parlare.
Il
giorno dopo andò a quell’appuntamento carico di pensieri, non riusciva a capire
cosa volesse da lui Paolo.
-
Dimmi tutto.
-
Marco, devi firmare queste carte per il passaggio definitivo dell’azienda a te.
-
No, non capisco, spiegati meglio.
-
I tuoi si sono trasferiti definitivamente in un posto lontano. Ti scriveranno
per spiegarti i dettagli e per dirti dove siano. Hanno trasferito tutta la
proprietà a te, ora tutta la gestione dell’azienda è in mano tua.
Ascoltò
attonito ogni parola, credeva di non poter gestire l’ansia che lo stava
assalendo, invece tirò fuori una forza inaspettata. Per quale ragione l’avevano
abbandonato? Era sicuro che il padre pensasse che lui non sarebbe stato in
grado di portare avanti l’azienda, forse voleva in questo modo distruggerlo o
forse metterlo alla prova?
Anna
era entrata da poco nella sua vita, ed è stato grazie a lei, e al suo analista,
che era riuscito a superare il trauma dell’abbandono, a gestire la “mancanza” e
ad avere comunque la forza per poter affrontare il suo nuovo ruolo di capo
dell’azienda.
Dopo
due mesi gli arrivò questa mail:
“Caro
Marco, ora che ci siamo stabiliti è arrivato il momento di darti una
spiegazione. Ricordi Luìs, il nostro fornitore
Costaricano? Ci ha invitati a venire qui in Costarica a gestire una
nuova azienda che ha appena creato. Ha pensato che solo noi avremmo potuto
aiutarlo. Abbiamo deciso di trasferirci e non tornare più in Italia. Sono
sicuro che sarai in grado di gestire l’azienda da solo, ora è tua! Ci faremo
risentire, per ora ti auguro buona fortuna …. un abbraccio anche da mamma.”
Rispose
dopo mesi.
“Caro
papà, immagino che la vostra scelta di non dirmi tutto prima è stata dettata
dal fatto che, mettendomi davanti al fatto compiuto, avrei dovuto mettere da
parte quell’ansia e quell’insicurezza che mi contraddistinguevano. Ci ho messo
mesi a superare lo stress del vostro abbandono. E di questo devo ringraziare il
Dr. Ferrari, gli psicofarmaci e Anna. Ora me la cavo, ma non vi dirò come va
l’azienda, avete abbandonato me e i dipendenti (per me grandi amici, mi hanno
sostenuto come potevano), e quindi non meritate di sapere.”
Non
scrisse loro neanche che si era sposato con Anna. La dolce, affettuosa e
paziente Anna.
Si
sposarono in sordina in un giorno di primavera. Partirono per il viaggio di
nozze in macchina senza meta. Arrivarono in Francia, passarono per la Svizzera,
la Germania, l’Austria. Erano felici. Lei terminò gli studi, si laureò, andava
tutto come volevano cha andasse. Ma un giorno successe qualcosa. Quel giorno
era uscita per portare il suo curriculum in un’azienda lì vicino. Ma ebbe un
lieve incidente, niente di grave, aveva
frenato all’improvviso e la macchina dietro la tamponò leggermente, senza
neanche troppi danni. Non era successo nulla, ma il guidatore dell’altra
macchina, d’accordo con i passanti che erano accorsi, decise di chiamare
comunque l’ambulanza. Lei era impazzita, aveva cominciato ad urlare, ad
agitarsi, ad avventarsi contro il povero uomo che era oltretutto costernato per
l’accaduto, tutto senza un apparente motivo. Nessuno riusciva a calmarla. La
tennero in ospedale sotto osservazione per una notte, la dimisero il mattino
dopo: “Si dimette la signora Anna
Molinari ricoverata il giorno 20 ottobre alle ore 19.30 a seguito di incidente
stradale. E’ stata effettuata una risonanza magnetica che non ha evidenziato
danni a livello osteoarticolare, ma si è notata una leggera lesione a livello cerebrale probabilmente
causata dall’incidente e alla quale si
attribuisce causa dell’improvviso scatto d’ira, apparentemente senza ragione.
Tenuta sotto controllo durante la notte, non si sono evidenziati ulteriori
sintomi. Si consiglia di effettuare una risonanza magnetica cerebrale di
controllo fra sei mesi.”
Tornata
a casa, non si parlò più dell’incidente, del suo scatto d’ira e si
dimenticarono ben presto dell’accaduto, tanto da non ritenere neanche
necessaria la risonanza magnetica di controllo prescritta al pronto soccorso.
Circa
un anno dopo ebbe un altro episodio del genere, quando, in prova in uno studio
legale, “scoppiò” improvvisamente perché una collega le chiese di sostituirla
per qualche ora. Perse naturalmente il lavoro. Questa volta Marco le consigliò
di andare in terapia dal Dr. Ferrari, così, per capire le ragioni di quei suoi
scatti d’ira. Il Dr. Ferrari, come terapeuta del marito, preferì non seguirla e
la affidò ad un suo collega.
Anna,
prima di Marco, visse una storia d’amore molto tormentata. Si amavano, ma non
riuscivano a stare insieme. Si prendevano, si mollavano, si stuzzicavano e si
procuravano dolore a vicenda. Nonostante un amore profondo che li legasse,
improvvisamente lui se ne andò, la abbandonò, sparì per sempre. Lei soffrì
molto di questo, raccolse tutte le forze che possedeva per superare quella
mancanza improvvisa e seppellendo ogni sentimento, apparentemente ce la fece.
Ma non era così. Quel ragazzo rimase sempre nel suo cuore. Spesso si tormentava
e quando la mancanza superava ogni grado di sopportazione si procurava delle lesioni, si faceva del male. La sua
speranza intima era quella che ritornasse e, nonostante avesse sofferto molto,
lei lo avrebbe accolto e perdonato. Quando conobbe Marco, questi episodi si
attenuarono, rimaneva sempre la dolce e sorridente Anna, ma nella sua anima
capitavano dei rari giorni che grandinasse in modo talmente violento che si
doveva nascondere per non dare modo che lui se ne accorgesse.
Il
piccolo tamponamento che ebbe il giorno dell’incidente avvenne perché
improvvisamente le sembrò di vederlo. Vide un uomo stanco, cambiato, ma era
quasi convinta che fosse lui. Per questa ragione si fermò improvvisamente.
Rivederlo dopo tanti anni, dopo tanto dolore soppresso nel fondo della sua
anima, le provocò uno stato di agitazione improvviso. Si sentì la testa
scoppiare, un forte dolore che saliva dallo stomaco fino al cervello, qualcosa di profondo era cambiato in lei.
Qualcosa di analogo accadde il giorno in cui perse il lavoro allo studio
legale.
Superò
temporaneamente, grazie al suo analista, lo stato d’ansia che l’assaliva nei
momenti di forte mancanza. Ma alternava momenti sereni a momenti di nervosismo
e tensione.
Nacque
Giovanna. Marco in quel periodo era molto impegnato nella gestione dell’Azienda
e lei si sentiva terribilmente trascurata in quel momento così delicato. Questo
favorì il crearsi di un rapporto morboso tra lei e la figlia, talmente stretto
da escludere il padre dal loro mondo. Lui al momento non se ne accorse talmente
era impegnato con il lavoro, dopo tanti anni aveva finalmente acquisito quella
sicurezza che gli permetteva di costruire e crescere e dimenticare quegli stati d’ansia che fino a
poco tempo prima lo attanagliavano. Non si accorse invece dello stato in cui si
trovava la moglie. Anna ricominciò a pensare in modo ossessivo al suo amore
perduto, soprattutto si chiedeva del perché dello stato debilitato in cui lo
aveva visto, e poi perché non l’aveva più cercata? Disegnava nella sua testa tutti
i possibili scenari, come quello di incontrarlo nuovamente e potergli
chiedere perché se ne fosse andato,
cercava in modo ossessivo di ricordare il suo viso di cui ormai stava perdendo
il ricordo definitivamente.
Dopo
qualche anno nacque Mario. Marco sperava così di allentare quel rapporto
morboso tra Giovanna e la madre e inizialmente riuscì nel suo intento,
nonostante si fosse accorto di uno stato latente di agitazione. Ma non capì mai
ciò che accadeva realmente, era sicuro che il nuovo arrivo sarebbe riuscito a
portare un po’ di novità in quella casa che aveva un odore di stantio.
Era
un caldo ottobre, Anna quel giorno si sentiva forte e decise di portare i figli
al parco.
-
Anna! quanto tempo! come stai?
-
Stefania, ma da quanto tempo non ci vediamo?
-
Ormai sono tanti anni. Vedo che hai due bambini. Devo dirti la verità, non vi
ho visto più te e Gianluca, ero convinta che foste scappati chissà dove, in un
posto lontano nel mondo. Poi ho saputo. Non sai quanto mi dispiace, morire così
in quel modo, con un agonia così lunga, chissà quanto avrà sofferto.
-
Scusa Stefania, spiegami bene, a cosa ti riferisci …
-
Ah, scusami non sapevi niente, io ero sicura che ….. il vostro legame era
talmente forte …. Ero sicura che vi sentivate ancora. Scusami …. Gianluca è
morto di una malattia che l’ha consumato.
-
Ma come ti permetti, urlò, come ti permetti di dirmi queste cose?! Chi sei tu?
Che cosa vuoi da me?
Dopo
tanto tempo, ebbe un altro scoppio d’ira. Sentì quel forte dolore che le saliva
dal petto fino al cervello. Cominciò ad urlare, ad agitarsi. Stefania non
sapeva che fare, non riusciva più a calmarla e a gestirla, non sapendo chi
contattare chiamò un’ambulanza. Prese i bambini e li tenne lei. L’ospedale
contattò Marco. Il calvario di accertamenti, visite, risonanze magnetiche,
terapie ebbe così inizio.
Marco
si rese conto così della gravità della situazione. Cercò una ragazza che
potesse dargli un aiuto con i figli e si dedicò a tempo pieno alla moglie. Per
fortuna i dipendenti dell’Azienda erano ormai tutti stretti e fidati
collaboratori e lo aiutarono in tutti i modi possibili.
Quel
giorno, sistemò i figli e disse loro di non preoccuparsi.
Si
presentò alle 18.00 all’appuntamento con i medici.
-
Marco, tutti gli esami hanno confermato che Anna è affetta da disturbo bipolare
di I tipo. Ti consigliamo di ricoverarla in una clinica specializzata. Potrebbe
avere degli scatti inconsulti contro i figli, meglio non lasciarli mai da soli.
Passò
notti insonni a pensare cosa avrebbe dovuto fare e continuava ad incolparsi per
le sue mancanze nei confronti di Anna, ma si chiedeva soprattutto come lei
avesse potuto nascondergli per così tanto tempo il suo stato, il suo amore
segreto per Gianluca di cui non ne sapeva neanche l’esistenza. Era stato sempre
sicuro che lei amasse solo lui e forse si era adagiato su questa sicurezza e
pensava che ogni cosa si sarebbe risolta da sola grazie al loro amore. Anna gli
era stata sempre vicino nei momenti bui della sua esistenza e non lo aveva mai
lasciato da solo e ora lui cosa avrebbe dovuto fare? Chiuderla in una clinica
ed abbandonarla lì? In fondo ultimamente grazie agli psicofarmaci sembrava stesse
mediamente bene. Era solo a dover decidere, gli mancavano i consigli del padre,
ma il suo orgoglio non gli permetteva di chiedergli aiuto. Decise quindi di
provare di nuovo e di tenerla a casa con la presenza, quasi fissa o almeno il
pomeriggio quando i bambini erano in casa, della baby sitter. La baby sitter
accettò, ma chiese solamente di poter avere dei giorni liberi quando avrebbe
dovuto dare gli esami all’Università.
Anna
passava il suo tempo a letto, imbottita di psicofarmaci, era completamente assente.
Marco aveva fatto in modo che la mattina fosse presente una collaboratrice
domestica, sia per mantenere la casa che per controllarla. Passarono mesi in cui, tutto sommato, la
situazione era abbastanza stabile. Per i mesi estivi andarono alla casa al mare,
lui faceva avanti e indietro ogni giorno. Gli sembrò che il sole e il mare le
facessero davvero bene, lei aveva perso quel pallore “malaticcio” e sembrava
pure sorridere qualche volta. tanto che decise di sua iniziativa di diminuire
le dosi dei farmaci. Era convinto che le avrebbe fatto bene riprendere
nuovamente “coscienza di sé” e ricominciare a vivere. Pensò allora di aver
fatto la cosa giusta, per lui, per lei e per i figli, era meglio che Anna
rimanesse accanto a loro. Questa “apparente” serenità gli permise di dedicarsi
di più all’impresa che ultimamente aveva un po’ tralasciato. Ora era diventato
necessario dare un spinta nuova per rilanciarla, perché non voleva in nessun
modo che la crisi gli portasse via i suoi collaboratori, come li chiamava lui,
perché per lui era importante il lavoro di squadra, dove c’è un leader e i
“collaboratori” non i dipendenti. Ognuno di loro era importante e l’Azienda
doveva sempre rimanere in attivo e ciò implicava un lavoro costante che non gli
permetteva distrazioni.
Finirono
le vacanze estive e tonarono tutti in città. Anna aveva apprezzato molto il
fatto che il marito le avesse abbassato le dosi dei farmaci, questo le
permetteva di essere più presente, oltretutto i pensieri ricominciavano a
girare nella sua testa e non voleva ritornare allo stato catatonico. Era
diventata più attiva, più sorridente, aveva voglia di uscire, fare tante cose,
insomma voleva che la sua casa non fosse più la sua prigione. Sembrava che
fosse ritornato tutto come prima e Marco era felice di questo, lasciò più
libera la baby sitter perché non riteneva più necessario questo continuo
controllo su di lei. Quando andarono in visita ne parlò con Luigi, che smorzò
subito i suoi entusiasmi.
“Marco,
non ti fidare di questi momenti di apparente tranquillità. Anna deve continuare
a prendere i farmaci, basta poco perché lei perda nuovamente l’equilibrio.
Rifacciamo una risonanza e per ora non aumentiamo le dosi dei farmaci. Ma mi
raccomando al primo, anche piccolissimo, segno di instabilità deve riprendere i
farmaci a pieno regime.”
Tra
alti e bassi arrivarono a dicembre. La baby sitter chiese di prendere qualche
giorno intorno all’8 per finire la tesi, Marco disse che non c’erano problemi,
Anna sembrava essere abbastanza tranquilla. Ma non era così. Anna era agitata,
l’idea di dover pensare al Natale, ai
regali, al pranzo, alla cena, e poi si sentiva sola, la baby sitter era una
sicurezza per lei e il pensiero che non ci fosse le dava agitazione, ma non
voleva farlo vedere a Marco, se lui se ne fosse accorto le avrebbe aumentato la
dose di farmaci.
Giovanna
si rese conto subito dello stato di agitazione della madre, soprattutto negli
scatti improvvisi di ira per futili ragioni, ma non volle dirlo al padre. Mario
si chiuse in un mutismo assoluto. Marco si accorse che i figli non erano più
così tranquilli, ma pensò che fosse dovuto alla mancanza della baby sitter che
era ormai un punto di riferimento per loro.
Anna
era in piena agitazione e per calmare quel suo stato aveva deciso di fare
qualcosa che la impegnasse, tirò fuori tutte le borse per sistemarle. Mentre
svuotava una borsa molto vecchia si ritrovò in mano una fotografia. Non lo
aveva dimenticato, nonostante la sua figura fosse sbiadita nella sua mente. Un
forte calore partì dal petto, si sentì la testa scoppiare e un forte dolore cominciò
a salire dallo stomaco fino al cervello. Erano i tipici segnali dei suoi scatti
d’ira. Mario la sentì urlare e si avvicinò a lei, Anna non riuscì a
controllarsi, lo prese per la braccia e cominciò a sbatterlo forte contro
l’anta dell’armadio. Il bambino urlava e lei si agitava sempre di più, lo
scaraventò per terra cominciando a colpirlo fortemente. Giovanna appena se ne
accorse chiamò subito il padre, che arrivò velocemente. Furono costretti a
chiamare l’ambulanza, aveva sbattuto la testa di Mario sul pavimento e un
rivolo di sangue gli usciva dall’orecchio.
Marco
non aveva scelta, Anna era gravemente malata e nonostante tutti i suoi sforzi
non ce l’avrebbe fatta a occuparsi di lei in casa. Dopo il lavoro andava tutti
i giorni a trovarla e le raccontava dell’azienda, dei figli che crescevano, di
quanto lei mancasse a tutti loro.
Anna
si lasciò andare per non tornare più indietro. L’unica cosa che continuava a
urlare nella testa era la mancanza di Gianluca, ma non c’era più, non aveva
neanche più la speranza che un giorno sarebbe ritornato e decise quindi di
raggiungerlo lei.
Il
giorno dei funerali si ritrovarono Marco, Giovanna e Mario seduti sul divano.
Giovanna teneva in mano la spazzola che serviva a pettinare la mamma nei
momenti di tristezza, Mario continuava a guardarsi intorno come alla ricerca di
qualcosa.
-
Mario, che c’è? dimmi … ti manca la mamma?
-
No papà mi manchi tu …..
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