Un volto (La mia penna)


Racconto selezionato tra i finalisti
Concorso letterario Racconti dal Lazio 2021
indetto da Historica edizioni (www.historicaedizioni.com) in collaborazione con il sito Cultora (www.cultora.it)

pubblicato nella raccolta




Un volto

di Francesca Cammisa


Un volto e un cenno col capo.
Questi erano gli unici indizi che aveva.
Cercò il blocchetto di appunti e una matita nella sua ampia borsa, che per l’occasione pareva essere stata svuotata proprio per impedirgli di attuare i suoi piani. Voleva immortalare quel viso finché lei fosse stata di fronte a lui, ma se ne andò e, purtroppo, avrebbe dovuto contare esclusivamente sulla memoria. Gli occhi, il naso, la bocca, i capelli … ma ciò che più l’aveva colpito era la sua espressione, ogni tratto, ogni singola ruga erano specchio della sua anima. Un’anima delicata, solare ma anche sofferente. Una di quelle anime che si vorrebbe tenere strette e non lasciare più andar via. Quel volto era a lui familiare, c’era qualcosa di incagliato nei suoi ricordi che non riusciva a liberare, tutto ciò lo rese malinconico.

Nonostante il tempo passasse quel viso era rimasto nella sua memoria. Ma la memoria fa e disfa come le pare giocando con i ricordi. Quel volto si modificò giorno dopo giorno, ma una cosa non la perse mai, l’idea della sua anima. Perché, e non si spiegava come, era convinto di conoscerla, ed ogni giorno ne provava una sottile nostalgia. Leopoldo, Leo per tutti e per sé stesso, decise di dare un nome a quel volto: Penelope, sarà! In fondo Ulisse di Joyce era il libro che preferiva, oltretutto portava il nome del suo protagonista. Solo Penelope avrebbe potuto chiamarsi. Ma a differenza della Molly di Joyce, la sua Penelope non lo tradirà mai.

“Buongiorno Penny! Ti piace questa musica? È un disco di qualche anno fa, una trasposizione in jazz delle invenzioni di Bach. Ascoltare la musica su vinile è un’esperienza meravigliosa, ma non lo capiscono, non comprendono questo genere. Mi stai chiedendo chi? Le “menti” della casa discografica dove lavoro, vogliono impostare tutta la prossima produzione sul commerciale, quello che va di moda ora. Non posso dare loro torto, sicuramente ci sarebbe un buon guadagno e ci permetterebbe di girare il mondo. Ho sempre lavorato con loro, mi sono sempre impegnato per la diffusione e la promozione di quanto prodotto, per poter aiutare i giovani, i musicisti, i professionisti della musica. Ma non ti voglio annoiare con queste storie, tu meriti solo di ascoltare ciò che di più bello c’è al mondo. Oggi è un giorno importante, devo presentarmi al meglio, oggi nominano un mio collega Direttore Artistico ed è giusto presentarmi bene. Cosa mi consigli? Questa cravatta? Questa giacca può andar bene? Metterò la camicia a righine, perché so che è quella che ti piace di più. Meglio questa, ha il collo un po’ più alto, nasconde meglio la cicatrice. Oggi tornerò più tardi del solito …. Aspettami, sai? Non te ne andare. Non saprei come fare senza di te. Per favore, non mi abbandonare.”

“Irene, dimmi, come è andata questa settimana?”

“L’altro giorno, dopo aver parlato con lei, mi sono fermata al bar. Ha presente quel bar in piazza con i tavolini fuori? Era una bella giornata, c’era un sole tiepido primaverile, era tutto ciò che avrei voluto dopo che la terapia aveva riportato alla memoria squarci improvvisi di alcuni momenti terribili passati in quel maledetto istituto. Mi erano tornati alla mente tutti i visi spauriti di noi bambini. Lo sa che alcuni di loro me li ero dimenticati? E mi ero anche dimenticata di quanto ci volessimo bene. Lo sa? A dirle il vero non so se era davvero così, ma è questo ciò che ricordo e voglio mantenerlo così. La prego, non faccia quell’espressione! Ci arriverò piano, piano. Ora mi lasci pensare così. Cosa le stavo dicendo? Ah, ero seduta lì a godermi il sole e il mio tè. Quasi di fronte a me era seduto un tipo che mi fissava, mi osservava e intanto rovistava in quella sua borsa. Non so cosa cercasse. Io feci finta di nulla, ma cercai anche io di guardarlo bene, perché mi ricordava qualcuno. Mi ricordava uno dei miei compagni. Come si chiamava? Aspetti. Leo! Sì sono sicura, era Leo.”

“Come fai ad esserne sicura? Sono passati così tanti anni”.

“Ho percepito la sua anima. Non mi chieda come ho fatto. E poi, quel suo sguardo, non lo ha perso per nulla! Come era allora, un timido, con i capelli biondi, gli occhi scuri, e quell’espressione un po’ così che solo lui poteva avere. Io e Leo siamo rimasti in istituto più degli altri. Io avevo 13 anni e lui forse 14 quando ci hanno portato via di lì. Aspetti … lo sa perché ci hanno portato via? Perché hanno chiuso quell’istituto per violenza su noi bambini”.

Mentre Irene parlava, muoveva a fatica quel braccio leso e se lo guardava pensando a voce alta ‘eccone il risultato’.

“Alcuni bambini furono adottati presto, ma io e Leo non trovavamo famiglia, quei genitori cercavano bambini perfetti e io e lui, per un motivo o un altro, non lo eravamo. Ogni volta che due possibili genitori non ci sceglievano, noi la prendevamo sempre come l’ennesimo abbandono”.

“Oggi siamo qui per festeggiare la nomina a Direttore Artistico della nostra azienda, ancora non lo sa e sarà una grande sorpresa per lui. Sono felice di annunciare che questa posizione sarà da ora in poi ricoperta dal nostro caro amico Leopoldo Bianchi. Leo, perdonerete la familiarità nel chiamarlo così, è davvero un amico per tutti noi, ha cominciato a lavorare qui tra le maestranze quando aveva 16 anni e ormai ne sono passati quasi 40, di cui 30 sotto la mia Presidenza, per poi diventare segretario di produzione e ora Direttore Artistico. Vorrei sottolineare le doti di grande e onesto lavoratore ma, soprattutto, di persona capace di creare un ambiente familiare intorno a sé. Leo dove sei? Ti prego vieni qui sul palco”.

Un lungo, caloroso e sincero applauso si levò da tutta la platea. Il Presidente si voltò a destra e a sinistra per cercare lo sguardo di Leo, che però purtroppo non trovava. Passarono momenti interminabili da quando smise il clamore della sala. Tutti si chiedevano cosa dovesse accadere. Forse una trovata artistica? Immaginavano un arrivo fragoroso degno di una persona geniale come lui. Silenzio. Il Presidente cominciò a spazientirsi chiedendo ai suoi di andare a prenderlo. Lo cercarono dappertutto.

“Oggi ho da raccontarle una cosa che ha dell’incredibile. L’altro giorno mi ero fermata a leggere il giornale. E cosa vedo in prima pagina? La foto di Leo! Lo sa che è scomparso nel giorno in cui si annunciava la sua nomina a Direttore Artistico di una delle più importanti case discografiche che ha sede qui in città? Non avrei mai pensato che fosse diventata una persona così importante. Pensi che proprio quel giorno l’avevo incrociato vicino al polo industriale, lo sa che lì vicino ci sono gli studi della casa discografica? Che ci facevo lì? Mi ci trovavo per puro caso, ero andata a fare una passeggiata.”

“Irene, ma non è proprio un posto ideale dove fare una passeggiata”.

“Non so dirle cosa mi aveva portato lì. Ma non ho avuto il coraggio di andargli incontro per salutarlo. Lui sicuramente non mi ha visto. Andava avanti e indietro con quel grugno tipico suo che si portava appresso ogni volta che qualcosa non andava come lui avrebbe voluto. Aveva la stessa espressione di quando un giorno vennero delle persone per vederci. Volevano adottare due bambini, un maschio e una femmina. Ero felice, sarebbe stato per me un grande sogno, andare via di lì insieme a colui a cui volevo più bene. Questa volta il problema non eravamo noi. Eravamo perfetti per loro, erano così felici. Erano due donne. Ci vennero a prendere e rimasero con noi una giornata intera. Uno dei rari momenti felici per noi. Quando ci riportarono, la direttrice chiese loro dove fossero i loro mariti. Loro dissero che non erano sposate, ma insieme sarebbero state molto felici di prenderci in affido sia me che lui. La direttrice le cacciò in malo modo, urlando di non farsi mai più vedere. Noi allora non capimmo il perché, al momento pensammo che anche loro non ci volevano. Soffrimmo molto. Quando accadeva qualcosa che ci faceva male, la notte ci incontravamo di nascosto, ci tenevamo per mano, e cominciavamo a cantilenare: noi non siamo sbagliati, noi non siamo sbagliati. Una volta ci hanno trovati e la punizione fu esemplare per noi. Ci fecero così male, ma non ci portarono in ospedale, se fosse stato così non ne avremmo portato i segni.

Poi ho capito perché la direttrice cacciò in malo modo le due signore, quella volta non era stato per colpa nostra. Ma è difficile ora, in quest’epoca, accettare una relazione come la loro, figuriamoci allora.

Sono un po’ preoccupata per quel “grugno” …

“Basta, basta con tutte queste chiamate! Non lo avete capito? Non vi voglio più sentire! E che si fa così? Non si opera in questo modo alle spalle di un vostro collega. E che? Io direttore artistico?? Io che vengo dal niente? Mi hanno sempre detto che non avevo un nome, che non ero nessuno, che non valevo nulla. Non mi voleva nessuno! E ora? Per quale ragione mi hanno nominato Direttore Artistico? È da ieri che giro senza meta, non so più dove andare. Penny è lì da sola a casa che mi aspetta, ma quelli staranno sicuramente sotto la porta di casa. Spero che le venga in mente di andare al bar dove ci siamo incontrati la prima volta, andrò lì ogni giorno, sono certo che prima o poi la troverò ad aspettarmi”.

Intanto il Presidente era davvero preoccupato, “Ragazzi, lo dobbiamo trovare, non pensavo che la prendesse così. Dobbiamo tranquillizzarlo. Per ora lasciamo il posto vacante e poi decideremo come fare. Ma, comunque vada, Leo non dobbiamo perderlo per nessuna ragione al mondo”.

“Irene, cosa hai? Ti vedo insofferente oggi”.

“Sono in ansia. Le avevo detto che ero preoccupata per quel “grugno” e sono varie notti che ho gli incubi.”

“Perché non mi hai chiamato? Dobbiamo fare in modo di non ritornare a quello stato in cui eri quando ci siamo visti la prima volta. Ti ricordi? Dobbiamo prevenire quei momenti di ansia e autolesionisti che hanno caratterizzato buona parte della tua vita. È un momento molto delicato per te. Da quanto tempo non mi parlavi più dell’istituto? Sembrava che fosse un conflitto quasi risolto, ma non era e non è così. Leo ha riportato alla luce fatti che non mi avevi mai raccontato. Dimmi dei tuoi sogni”.

“Ho sognato il giorno in cui ci hanno portato via da lì. Quel giorno io e Leo litigammo per una stupidata, era la prima volta che ci capitava. Ma eravamo nervosi e sentivamo che ci avrebbero separato e soprattutto non sapevamo cosa ci sarebbe successo. Litigammo perché quel giorno decisi di legarmi i capelli. Lui disse: perché mai ti aggiusti? Noi siamo sbagliati e anche puliti e lindi lo saremo sempre. Risposi che a me andava così e che non mi importava cosa pensasse. Le persone che erano venute a prenderci ci sorpresero proprio in quel momento, devo dire che non abbiamo dato una buona impressione iniziale. Ci divisero e non avemmo neanche il tempo di salutarci, di abbracciarci. Non me lo potrò mai perdonare quell’addio. Ci sistemarono in due case famiglia distinte in due paesi diversi, non ci incontrammo più. Ci volevamo tanto bene, e soffrii molto per quella separazione e sono certa che anche per lui fu così. Non dimenticherò mai quel “grugno” tra l’arrabbiato e l’impotente. Io sono stata fortunata, l’ambiente della casa famiglia dove mi sistemarono era abbastanza sereno, per quanto possa essere serena una situazione del genere. Ma questo lei lo sa, sono loro che mi hanno consigliato di venire da lei quando ormai indipendente ho cominciato ad aiutarli. Vorrei tanto poter rincontrare Leo, vorrei aiutarlo, perché è come se percepissi la confusione che gli sta passando per la testa. Ho letto che sono giorni che non lo trovano. Il Presidente della Casa discografica ha fatto un appello in Tv dicendogli che lo aspettano”.

“Irene, per oggi abbiamo finito. Se ti viene un attacco d’ansia fammi uno squillo”.

“Va bene, ora ho proprio bisogno di una bella cioccolata calda del bar qui sotto, nonostante oggi la temperatura non inviti a bere qualcosa di caldo, ma io ne ho bisogno. Ci vediamo la prossima settimana”.

Irene scende con calma, si avvicina al bar e si siede al suo solito tavolino. La solita cameriera si avvicina, le sorride e le chiede se volesse come sempre il gelato.

“No, mia cara, oggi ho bisogno di una cioccolata calda con quei biscottini che avete voi”.

“Che coincidenza …. Oggi sei la seconda persona che mi chiede una cioccolata calda”.

Era certa che fosse lì.

Come se avvertissero la presenza l’uno dell’altra si voltarono contemporaneamente, e rimasero fissi lì per un momento. Lui si alzò d’improvviso e le andò incontro. “Penny! Ero certo che ti avrei trovata qui! Lo sapevo che non mi avresti abbandonato, che mi avresti cercato non vedendomi tornare a casa e mi avresti raggiunto qui dove ci siamo incontrati per la prima volta”.

“Penny?”

“Sì Penny, sei tu vero? Sono Leo! Non mi riconosci? Penny come avrei potuto fare a meno di te. Aspetta …. Io sono sicuro che tu sia Penny, ma non sei Penny. Penny non è il tuo nome. ... noi non siamo sbagliati, noi non siamo sbagliati ….”

Sul viso di Leo, come su quello di Irene, cominciarono a scendere delle lacrime. Lacrime calde, confortevoli, che da tanto tempo aspettavano di uscire da quegli occhi pieni di sofferenza. Riaffiorarono tutti i ricordi brutti, ma anche quegli attimi bellissimi in cui si ritrovavano da soli per sfuggire al grigio di quell’istituto. Nessuna parola era necessaria, ma un lungo abbraccio, uno sguardo di intesa.

“Leo, richiamali. Ti stanno aspettando. Ho visto l’appello del tuo Presidente, qualunque cosa tu decida di fare vuole che tu ritorni. Era sincero, davvero. E tu sai che io e te capiamo subito quando una persona è sincera. Perché tu sei la persona giusta”.

“Irene, io ho sempre pensato di essere la persona sbagliata, di non essere in grado di portare avanti nessun lavoro, Invece lì, in quell’azienda ho dato il meglio di me stesso e qualcosa di buono sono riuscito a farla, anche grazie alle persone che mi hanno dato fiducia in tanti anni, ma direttore artistico no, non ce la farei mai! Facciamolo fare a quel giovane arrivista che hanno assunto qualche tempo fa”.

“Questo si vedrà, non devi decidere adesso. Chiamalo che è veramente preoccupato. Come lo sono stata io”.

“Poi lo chiamerò, ora dammi la mano però, voglio sentirti come allora. Non ci lasceremo più, me lo prometti?”

“Qualunque cosa accada, non ci lasceremo più, la tua anima è come la mia, la riconosco, mi ci ritrovo. Mi prometti una cosa?”

“Dimmi …”

“Appena risolveremo i problemi imminenti che questo incontro, nostro malgrado, causerà, andiamo a cercare la coppia che voleva adottarci e che la direttrice ha cacciato? Chissà forse si saranno sposate e ora vivono insieme con un gatto, un cane e un favoloso giardino pieno di sole ……”

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