mercoledì 11 novembre 2015

Il gruppo

L’altro giorno mi sono ritrovata a vedere un film sulla generazione dei diciottenni. Il film è ben diretto, considerato che Fausto Brizzi ha una buona capacità di descrivere i giovani e il loro mondo. Sicuramente la storia è abbastanza poco plausibile da alcuni punti di vista rendendo, a volte, il film poco credibile. La storia è incentrata su un gruppo di amici, e da lì mi son venuti in mente una serie di considerazioni. 

Ph Axel Lauerer (Gettyimages)


Io ho sempre vissuto fuori contesto, nel senso che ho vissuto in un paese che non era il mio, ero quella che veniva dalla città, la “forestiera” e tale venivo considerata. Ci ho messo tempo a farmi accettare dal “gruppo”, ma con perseveranza, pazienza e non poca sofferenza ce l’ho fatta, diventando, in fondo, un punto di riferimento. Perché ho parlato di “sofferenza”? perché ero considerata diversa, si parlava spesso delle diversità di ceto, di cultura, di modi di essere, di trattamento. A scuola venivo messa da parte, ma piano, piano sono riuscita ad inserirmi. In questo caso il gruppo può essere crudele nell’allontanare ciò che ritiene diverso, fino a che non ha modo di conoscerlo veramente e allora, piano piano si viene accettati, ma mai completamente, sempre con una punta di sospetto.

Poi tornai nella mia città di origine, e mi son ritrovata ad essere ancora più “forestiera”. Il gruppo non mi accettava, venivo considerata “paesana” e in effetti io non ero al passo con le loro mode, ero fuori moda e fuori contesto. Devo dire che il gruppo “cittadino” è molto più crudele, sanno fare male. Ricordo che un anno passai le vacanze con mia cugina in un luogo di vacanza frequentato da quelli di “città”. Le ragazze mi guardavano con sospetto, e perché? Perché non portavo i pantaloni stretti come li portavano loro, non portavo il Levi’s, non avevo le Superga ai piedi. Insomma mi trattarono molto male. Ma io ero fiera di essere diversa da loro e dalle loro stupide mode che le rendevano tutte uguali, e questa diversità l’ho sempre portata avanti con fierezza. Un tipo, che non “batteva chiodo” con nessuna, ci provò con me, quando gli dissi che non avevo nessuna intenzione di stare con lui, mi trattò malissimo davanti a tutti e fece in modo di allontanarmi ulteriormente dal “gruppo”.
Insomma non mi ritrovavo con quel modo di essere, tanto da frequentare durante l’Università soprattutto i fuori sede. Insomma, alla fine ero sempre fuori da ogni contesto. Ma ho sempre portato avanti con fierezza questo mio modo di essere (con molta sofferenza naturalmente) fuori da ogni regola e moda. Perché in fondo mi arricchiva, non mi omologava, mi rendeva, se non unica, ma almeno particolare. Quindi in questo modo ho avuto poche amicizie, solo conoscenze, però mi rimase il mito del gruppo affiatato di amici, che avrebbero fatto di tutto per te, che ti avrebbero ascoltato, protetto, supportato, che ci sarebbero stati in ogni momento. Per questo quando vedo questi film, anche se poco plausibili, mi piace sognarci su. Ma in finale, quanti sono gli amici sui quali veramente contare? sui quali appoggiare la testa su una spalla senza che si allontanino per paura? quegli amici che senza chiederti come stai già sanno? e quelli che ti chiedono come stai, ma veramente, e non solo per convenzione? E quelli a cui piace ridere e gioire e scherzare con te? E quante sono le persone che ci sono, ma ci sono veramente e non quando gli fa più comodo? Pochi, quasi nessuno, io vedo solo amicizie per interesse. Ma io continuo a sognare e continuo a dire: searching for heart and soul people ….

Nessun commento:

Posta un commento